Confindustria chiede al Governo interventi contro il caro energia, ma non è semplice ottenere risultati strutturali
Tra le richieste che Confindustria ha presentato nei giorni scorsi al Governo in vista della Legge di bilancio c’è anche quella di interventi per abbassare i costi dell’energia, che per le imprese italiane restano più alti rispetto ai competitor europei. “Non stiamo facendo nulla perché l’energia costi poco, eppure per essere competitivi è essenziale che l’energia venga pagata, in media, come gli altri Paesi”, ha detto il Presidente Emanuele Orsini.
Secondo Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, per cercare di soddisfare questa richiesta «non si potrà che andare nella direzione di ridurre gli oneri o defiscalizzare qualche componente delle bollette delle imprese. In buona sostanza, andrà percorsa ancora una volta la strada degli aiuti di Stato. Chiaramente gli spazi fiscali a disposizione sono limitati, quindi non si potrà far molto. Soprattutto, non si potrà fare nulla che possa ridurre strutturalmente il prezzo dell’energia nel breve periodo per le imprese. Le misure finora approvate in questa direzione non hanno avuto grandi effetti».
Confindustria ha chiesto di passare dalle parole ai fatti rispetto al disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas.
Penso sia inutile continuare a dibattere su questo tipo di alchimia di mercato: il sistema elettrico è unico e non vedo come si possa vendere l’energia con prezzi e canali differenziati in base alla fonte di produzione. Anche la novità scattata dal 1° ottobre che rende possibile gli scambi ogni quindici minuti anziché ogni ora non credo aiuti a semplificare il mercato elettrico.
La scorsa settimana il Governo ha approvato il ddl delega sul nucleare sostenibile. Cosa ne pensa?
Credo che si tratti di un passo dovuto, una scelta strategica di lungo termine, perché se tutto va bene ci vorranno 10-15 anni per poter vedere qualche risultato concreto: la strada è tutt’altro che in discesa. Sarebbe stato indubbiamente meglio se il tentativo di ritorno all’energia nucleare in Italia non avesse subito la battuta d’arresto del referendum del 2011.
Intanto con tutti gli investimenti globali previsti sembra che presto avremo un mercato del GNL con offerta abbondante.
Nel lungo termine certamente, e questo fa solo bene. Dobbiamo guardare, però, a quest’inverno: il livello delle scorte di gas in Europa non è alto e non è opportuno rimanere esposti per diversi mesi alle condizioni meteo. Forse riusciremo a evitare nuove impennate dei prezzi, ma siamo ancora lontani dalla possibilità di vedere una loro riduzione strutturale.
L’Ue potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza energetica dagli Usa per il GNL e dalla Cina per la componentistica necessaria alla produzione da eolico e fotovoltaico?
Più che altro è scandaloso dover andare a prendere il GNL dagli Usa anziché estrarre il gas presente sul nostro territorio: non è solo una questione di costi, ma anche di inquinamento, vista la necessità di liquefare il gas e trasportarlo via nave. Purtroppo sulla politica energetica italiana pesano anche i veti locali.
Che rendono impossibile l’estrazione di gas?
Non solo: questi veti ostacolano anche la costruzione di impianti rinnovabili, la cui componentistica è certamente un monopolio di fatto della Cina, Paese che produce facendo massiccio ricorso a centrali a carbone, quando in Italia un ministro deve giustificarsi se decide di mantenerne pronte all’uso due in caso di bisogno.
La produzione da rinnovabili è comunque cresciuta nel nostro Paese.
Quella da fotovoltaico, in particolare, continua a crescere, ma è ancora lontana dal poter sostituire tutta l’elettricità prodotta tramite gas di cui abbiamo bisogno, specialmente nei mesi invernali nei quali ci sono meno ore di irraggiamento solare. La scorsa settimana c’è stata un’asta per 10 GWh di Bess, i sistemi di accumulo a batteria, ma non facciamoci troppe illusioni: non potranno coprire tutto il fabbisogno energetico delle ore senza luce solare, specialmente in inverno.
Cosa bisognerebbe fare allora per cercare di ridurre i costi energetici che pesano sulle nostre imprese?
Preferirei parlare di produzione nazionale di gas, di aumento dei pompaggi idroelettrici, di maggior ricorso ai contratti Ppa a lungo termine che possono garantire alle imprese un prezzo fisso per almeno cinque anni, di velocizzazione delle autorizzazioni per costruire impianti di rinnovabili. Un altro possibile intervento riguarda il sistema europeo per lo scambio di quote di emissioni di CO2 Ets.
Cosa si potrebbe fare su quest’ultimo fronte?
Dal 2026 scatterà una graduale eliminazione delle quote di emissioni gratuite e la congiuntura economica non è certo favorevole. Si parla di una revisione della Direttiva Ets entro il prossimo 31 luglio, ma forse sarebbe opportuno quanto prima rinviare la stretta, in modo che le imprese energivore possano pagare bollette meno elevate ed evitare un aggravio dei costi produttivi legati alle emissioni.
Servirebbe allora una mossa della Commissione europea in questa direzione…
La Commissione von der Leyen sconta problemi politici dal momento che non può contare su una maggioranza solida su certi temi, quindi è faticoso modificare queste regole. Credo, tuttavia, che un intervento sia necessario, quanto meno un alleggerimento delle scadenze o un aumento dell’offerta delle quote, così da fare scendere i loro prezzi e conseguentemente quelli delle bollette delle imprese.
(Lorenzo Torrisi)
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