La crisi francese chiama in causa l'Europa e la sua visione orientata all'austerità e non alla crescita del Pil
A partire da domani, il Primo ministro francese François Bayrou incontrerà i leader dei partiti in vista del voto di fiducia all’Assemblea nazionale della settimana successiva, che potrebbe determinare una nuova crisi di Governo.
Secondo Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, «siamo di fronte a una situazione che chiama in causa tutta l’Europa. La crisi della Francia è la crisi dell’Europa, quindi non dobbiamo rallegrarci troppo delle difficoltà di Parigi o delle performance dello spread, anche perché il fatto che quello tra Oat e Bund abbia raggiunto gli 80 punti base vuol dire che sui mercati si comincia a prezzare la probabilità di un’uscita della Francia dall’Ue».
Addirittura?
Beh, è chiaro che se oggi si votasse in Francia i consensi andrebbero in maggioranza verso il Rassemblement National e le sue posizioni sull’Ue sono abbastanza note, soprattutto sui mercati. Intanto, emerge un timore della democrazia nel Paese transalpino che non può passare inosservato.
Si riferisce al fatto che in caso di sfiducia a Bayrou difficilmente si tornerebbe al voto?
Non solo. La data scelta dal Primo ministro per il voto di fiducia, l’8 settembre, credo che non sia casuale, visto che per il 10 erano state indette della manifestazioni contro la manovra finanziaria predisposta dal Governo, che l’84% dei cittadini non sostiene. Di fatto Bayrou sta cercando di anticipare le scelte sul futuro del suo Esecutivo per non farlo “insieme” ai francesi. Inoltre, ci sono almeno altri due segnali di quanto si tema la democrazia.
Quali?
Il primo è stato il riferimento del ministro dell’Economia a un possibile intervento del Fondo monetario internazionale, un commissariamento che non terrebbe conto delle esigenze dei cittadini. Il secondo è rappresentato dalle voci sui possibili sostituiti di Bayrou, tra cui gli attuali ministri delle Forze armate e degli Interni, anche questo un segnale di paura dell’elettorato se si pensa di far guidare il Governo da chi aveva il controllo dell’esercito e delle forze dell’ordine.
C’è, però, un problema nei conti pubblici francesi che va affrontato.
Continuiamo a concentrarci, nonostante siano passati quasi 15 anni dalla terribile austerità imposta all’Italia, solo su una parte sola del rapporto debito pubblico/Pil, ovvero la riduzione del numeratore, dimenticandoci dell’importanza che ha la crescita del denominatore. Non sarà un caso se la Spagna vedrà scendere il suo debito/Pil sotto il 100%, mantenendo il deficit sotto il 3% del Pil, dal momento che negli ultimi anni ha puntato su una crescita economica basata sull’incremento della domanda interna.

In che modo la Spagna ha fatto crescere la domanda interna?
Gli ultimi dati dell’Ocse mostrano che in Spagna il tasso di crescita dei consumi intermedi della Pubblica amministrazione tra il 2023 e il 2026 è stato rispettivamente: 5,2%, 4,1%, 2,2% e 1,7%. In Francia, invece, è stato pari a: 0,8%, 1,7%, 0,6,% e 0,1%. Dunque, nell’arco di quattro anni, tra i due Paesi c’è una differenza in questa voce chiave per la domanda interna del 10% circa. Questi dati ci dicono che per ridurre il debito pubblico su Pil e stabilizzare il deficit c’è un’alternativa all’austerità, che oltretutto funziona.
Non stiamo parlando, però, di investimenti pubblici…
Si tratta di acquisti di beni e servizi, oltre che di stipendi dei dipendenti pubblici, che possono migliorare la Pa, cosa che accresce l’impatto di ogni singolo euro speso. Pensiamo solo a quanto i salari contino per poter attrarre il miglior capitale umano nelle scuole, nelle università, nelle forze dell’ordine, nelle stazioni appaltanti. Non esiste un mercato dinamico senza una Pa scintillante. Dunque, anche se formalmente non si tratta di investimenti, stiamo parlando, come per buona parte della spesa corrente, di spese in conto capitale fondamentali per la crescita di un Paese, perché fanno funzionare meglio gli ospedali, aumentano la sicurezza delle infrastrutture e così via.
All’inizio ha detto che la situazione francese chiama in causa tutta l’Europa. E di Europa si è parlato molto in Italia negli ultimi giorni.
Sì, al Meeting di Rimini Draghi ha detto che occorre che l’Europa si doti di un’organizzazione politica adatta alle esigenze del nostro tempo. Queste dipendono anche da come l’Europa vede il mondo. Democrazia e mercato sono importanti, ma a differenza degli Stati Uniti noi europei abbiamo dei valori per cui si predilige un tipo di vita comunitaria all’insegna della solidarietà, una gamba che ancora manca alle politiche dell’Ue create da un’organizzazione burocratica. Per il tramite di politiche non austere, di scelte democratiche, possiamo concentrarci su un modello di sviluppo basato sulla solidarietà.
Basta non fare austerità?
No, occorre anche spendere bene. La Commissione lasci agli Stati nazionali la possibilità di fare deficit e monitori la qualità del suo utilizzo, per esempio tramite investimenti che rafforzino le aree più in difficoltà, così che si possano contrastare disuguaglianze che invece crescono negli Stati Uniti, anche se questo potrà farci crescere un po’ meno di quanto avviene sull’altra sponda dell’Atlantico.
(Lorenzo Torrisi)
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