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Home » Cronaca » Cronaca Nera » ATTENTATORE UCCISO/ Jean: Amri era qui perché ci sono cellule in Italia

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ATTENTATORE UCCISO/ Jean: Amri era qui perché ci sono cellule in Italia

Int. Carlo Jean
Pubblicato 24 Dicembre 2016
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LaPresse

L'Italia è covo di cellule di supprto del terrorismo che il killer di Berlino stava cercando di contattare, lo spiega CARLO JEAN in questa intervista. Ecco di cosa si tratta

E’ una storia inquietante quella del “fantasma di Berlino”, come è stato definito Anis Amri, autore della strage del mercatino di Natale, che apre innumerevoli scenari. Partito dall’Italia nel 2015 diretto in Germania per seminare la morte, è tornato nel nostro Paese per trovare la morte per mano di due coraggiosi poliziotti. L’efficacia e il dispiegamento di mezzi messi in campo dal nostro Paese la sottolineava alcuni giorni fa su queste pagine il generale Mori, la ricorda adesso anche il generale Jean: “Le nostre forze di sicurezza sono affidabili, sono addestrate, sono dispiegate con intelligenza là dove devono essere”. Ben altre domande invece andrebbero fatte ai colleghi tedeschi e francesi che hanno permesso al jihadista di attraversare l’Europa senza essere individuato. Il pericolo resta costante: “Amri stava certamente tornando in Italia dove sapeva di poter contare su cellule jihadiste che lo avrebbero protetto e fatto fuggire lontano” ci ha detto ancora Jean.


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Il fatto che Anis Amri sia stato intercettato in Italia secondo lei significa che era qui perché sapeva di poter contare sul supporto e l’aiuto di cellule jihadiste?

Certamente. Abbiamo visto come prima dell’attentato di Berlino questa persona si fosse dichiarata un combattente dell’Isis, così come sappiamo altrettanto bene che nel nostro paese esistono cellule che non solo organizzano attentati all’estero, ma offrono sostegno logistico e supporto economico ai cosiddetti lupi solitari come sembra fosse Amri. Inoltre stava sicuramente cercando di raggiungere il sud Italia per trovare il modo di fuggire verso il Medio Oriente.


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Stupisce che sia riuscito a muoversi dalla Germania fino in Italia passando dalla Francia su un normale treno passeggeri sfuggendo a ogni controllo.

Era un professionista ben preparato, un personaggio abile, sapeva muoversi e sapeva come sfuggire ai controlli. Sembra che fosse arrivato a Milano in Stazione Centrale all’una di notte per poi essere individuato due ore dopo a Sesto San Giovanni. Questo potrebbe significare che stava cercando aiuto e sapeva dove andare.

Il caso di questo terrorista riapre il problema immigrazione: sappiamo infatti che era arrivato in Italia con uno dei tanti barconi di profughi nel 2011.


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Si sa da tempo che tra i tanti profughi si possono infilare potenziali terroristi, esiste una percentuale concreta di persone che si fingono migranti, ma di fatto sono terroristi che sfuggono alla cattura nel loro paese, ed era il caso di Amri, condannato in Tunisia. Oppure vengono qui in cerca di appoggi esistenti in Europa.

Di sostenitori della jihad ne sono stati scoperti in Italia, ma evidentemente di queste cellule ce ne sono ancora molte, è d’accordo?

Purtroppo sì. E’ un compito assai difficile e lungo individuarli, come è stata lunga e lo è ancora la lotta alle cosche mafiose o alla camorra. Siamo in uno stato di diritto e non possiamo certo adottare i metodi duri e anti democratici che utilizzò ad esempio il prefetto Cesare Mori nella lotta alla mafia negli anni Venti con l’utilizzo della tortura, la cattura di ostaggi come donne e bambini e il ricatto. 

 

Occorrerrebbe agire nei paesi di origine, ma in che modo?

O si interviene con forze militari sufficienti per controllare il territorio, o i governi del luogo dovrebbero collaborare attivamente, ma non sembra che siano molto interessati alla sicurezza degli europei, quanto a liberarsi dei terroristi che hanno a casa loro.

Proprio ieri c’è stato il caso di un aereo libico dirottato a Malta, sembra che i dirottatori volessero dirigersi a Roma. Che tipo di allarme è questo secondo lei?

Bisogna indagare, sembra che fossero legati ai circoli di Gheddafi, capitanati da uno dei suoi figli, che sembra abbia il controllo di una rete di sostegno e disponga di parecchi soldi. Sicuramente in Italia ci sono molti libici ex gheddafiani che sono vicini a questa realtà.

 

Un nuovo elemento che si aggiunge a un quadro già destabilizzante e allarmante?

E’ da capire cosa ci sia dietro. Dirottare un aereo non è paragonabile a gesti da lupi solitari come quello di Berlino. Suppone una organizzazione alle spalle e forze non da poco.


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