IUS SOLI/ Blangiardo: c’è già, basta solo migliorarlo
E’ polemica sullo ius soli, ma il diritto di cittadinanza per i figli di coppie straniere nate in Italia è già garantito e lo si applica più che in altri Paesi europei. GIAN CARLO BLANGIARDO

Il 5 febbraio di quest’anno la legge 91/1992 “Nuove norme sulla cittadinanza” compie un quarto di secolo. È sopravvissuta, anche se non si sa per quanto ancora, tra mille polemiche. Era frutto d’altri tempi. Era l’espressione di un popolo che, essendo stato tradizionalmente di emigranti, salvaguardava il “patto di sangue” con la propria stirpe. E’ la norma che nega ai bambini che hanno avuto la disavventura di nascere da genitori stranieri — quand’anche venuti alla luce entro i confini del Bel Paese — la soddisfazione di possedere un passaporto (italiano) diverso da quello di mamma e papà.
Sì, perché la “sciagurata” legge assoggetta sorprendentemente il destino e lo status dei bambini a quello dei loro genitori. Al punto da stabilire persino che “I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi” (art.14). Sorpresa! E pensare che serpeggia la generale convinzione che il destino di ogni minore straniero sia quello di restare tale inesorabilmente sino al 18esimo compleanno (se nato in Italia) o sino a che (se immigrato da piccolo) non avvierà egli stesso, quando maggiorenne, la procedura per la propria “naturalizzazione”.
L’idea che ci sia una terza via, quella della “trasmissione della cittadinanza ai figli” da parte di un genitore divenuto italiano è una possibilità che spesso si ignora e che, più o meno colpevolmente, si tende a non divulgare.
Eppure in tal senso, la tanto vituperata legge 91/1992 non ha mancato di dare copiosi frutti. Nell’anno 2014 sono state ben 45.744 le acquisizioni di cittadinanza “per trasmissione” ai sensi dell’articolo 14 (Istat, 2016). Stiamo parlando di un terzo dei circa 130mila stranieri che in quello stesso anno sono divenuti italiani. Con buona pace dei detrattori di quella “brutta legge” che, evocando logiche di unità familiare, ha posizionato nel 2014 — dato confrontabile più recente — l’Italia al secondo posto nell’Ue, preceduta solo dalla Spagna, per numero di concessioni di cittadinanza (Eurostat, 2017). Con qualche migliaio di nuovi cittadini in più rispetto al Regno Unito e sopravanzando del 15-20 per cento Germania e a Francia. Una legge che, dulcis in fundo, ha poi prodotto nel 2015 qualcosa come 178mila concessioni di cittadinanza di cui il 37 per cento ha riguardato minorenni.
Ciò premesso, non è che mentre stiamo qui a discutere (o si ricomincia a discutere) su Jus soli e Jus sanguinis la realtà del mondo che cambia — a norme immutate — rischia di sorpassarci?
In un Paese che vive una profonda crisi della natalità, in cui gli stessi bambini stranieri — i potenziali beneficiari dello Jus soli — sono andati via via diminuendo negli ultimi tre anni, forse la vecchia legge basata sul sano principio di uno status di origine familiare non è poi così da rottamare. Facciamole pure un tagliando — se proprio piace la così detta variante dello Jus culturae — ma evitiamo di ricominciare con dibattiti e battaglie per cambiare un mondo che già cambia di suo.
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