Un uomo di 33 anni scopre di essere un malato terminale e decide di scrivere un libro in cui si racconta alla figlia di un anno e mezzo. È la storia di Andrea Bizzotto che, quando stava per nascere la piccola Giulia Grace, aveva saputo di essere affetto da un sarcoma sinoviale al terzo stadio.
Il dolore di Andrea si condensa in particolare sul dover abbandonare la figlia. “Giulia sarà molto arrabbiata e purtroppo non capirà inizialmente. Mia figlia probabilmente troverà una figura paterna ed io lo spero sinceramente, come spero che mia moglie possa avere un altro uomo, che la faccia sentire bene, amata e rispettata”. Sono parole tratte dalle prime pagine dell’autobiografia, pubblicate sul Mattino di Padova. “Giulia — prosegue Andrea — te sei la cosa più importante e preziosa che ho e sei la persona che più amo. Sono così fiero di essere il tuo papà”.
Andrea fa dei video in cui racconta se stesso alla propria figlia: e questo lo avremmo fatto in molti. Ma poi decide qualcosa di particolare: di scriverle un libro. “Non sono uno scrittore — dice — ma non sono analfabeta e questo libro rappresenta una piccola parte di quello che sono ed ero. Spero un giorno lo leggerai e potrai filtrare il buono dal meno buono. Ti amo Giulia Grace”. Bizzotto, forse inconsapevolmente, intuisce che un racconto — anche un racconto scritto — contiene più della somma delle singole parole. Ai bambini, da sempre, le mamme e i papà non mostrano foto e screenshot ma raccontano le storie. Il bambino, per crescere, ha bisogno di essere tra le braccia di un volto che gli racconti una storia. In cui ci sono i buoni e i cattivi, e dove si dica come assomigliare ai primi e sopravvivere ai secondi. “Le fiabe — diceva Chesterton — non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi”.
Andrea che augura alla figlia Giulia di avere un’altra figura paterna che prenda il suo posto e, alla moglie, un altro marito che si prenda cura di lei, insegna proprio questo. Mostra a Giulia che l’unica posizione umana di fronte alla morte, è quella dell’amore. Non vuole che la figlia e la moglie rimangano chiuse nel vuoto della sua morte ma augura loro che ci siano altre persone che portino amore. Non il suo amore, quello è unico, ma qualcuno che sia comunque un messaggero d’amore.
Spesso pensiamo che le parole siano solo parole e invece possono essere pietre che uccidono o segni che regalano speranza e vita. Lo sappiamo bene noi, oggi, quando la nostra politica, i nostri social, la nostra giornata, ci procurano tante lapidazioni verbali. Questo padre ci insegna che, anche se sei un malato terminale, puoi scrivere parole capaci di essere un dono di memoria e di speranza per la figlia. Parole che saranno tanto più forti quanto più mamma, nonni, familiari e amici diranno che erano vere perché la vita di quel papà è stata coerente con le parole di vita e d’amore che Alberto ha scritto nel suo libro per lei.
Questo padre che scrive alla figlia sapendo di dover morire ci mostra che la Resurrezione è qualcosa che possiamo sperimentare già ora, perché nel suo libro trova vita la verità, per cui l’amore è più forte della morte. Le parole possono salvare il mondo se l’inchiostro che le colora parla d’amore, di donazione; se racconta che la vita del padre è come una gita che, anche se finisce, vuole lasciare un segno che vada oltre la morte, che si muove nell’orizzonte del sempre. Da quelle lettere, da quella carta, dalla storia raccontata, la bambina potrà conoscere suo padre, almeno un po’. Potrà parlare con lui ritrovandolo in quelle parole.