Proseguono le reazioni dal mondo politico al falò choc di Castellammare, dove è stata bruciata una pira di legno nel giorno dell’Immacolata, con un manichino e una scritta contro i pentiti “Dovete bruciare”. Un gesto di ritorsione nei confronti dei collaboratori di giustizia che hanno fatto decapitare il famoso clan D’Alessandro, uno dei più potenti nello stabiese. Sulla vicenda si è espresso Fratelli d’Italia, con il consigliere comunale Ernesto Sica, e il commissario cittadino, Michele Aprea, che hanno diffuso un breve comunicato in cui si legge: «Esprimiamo profondo ribrezzo, repulsione e preoccupazione nei confronti del vergognoso episodio che ha visto uno striscione, dalle parole nauseabonde ed irripetibili, accompagnare il rogo di un manichino in costanza dell’incendio di un falò, oltretutto, illegale durante la ricorrenza della festa dell’Immacolata in un quartiere stabiese. Vogliamo ribadire che siamo scossi riguardo l’accadimento e riteniamo che si debba rafforzare la stretta preventiva e repressiva riguardo ogni illegalità diffusa, soprattutto quando si parla di Camorra!». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
FALO’ DI CASTELLAMMARE: CONVOCATO COMITATO DI SICUREZZA
Un episodio a dir poco “inquietante” quello avvenuto questa notte a Castellammare di Stabia. Su una catasta di legna è stato appeso un fantoccio con uno striscione: «Così devono morire i pentiti, abbruciati». Come se non bastasse, il macabro spettacolo è stato applaudito da una piccola folla di persone. Le immagini si sono diffuse rapidamente sui social network e in molti hanno commentato, come il consigliere comunale di LeU Tonino Scala che parla di un «gesto da condannare senza se e senza, così come sono da condannare i mancati controlli da parte di chi aveva il dovere di controllare». Gianpaolo Scafarto, maggiore dei carabinieri che ha indagato sul caso Consip ed è finito sotto inchiesta a Roma per falso e rivelazione del segreto d’ufficio e depistaggio, oggi assessore alla Legalità e alla Sicurezza del Comune di Castellammare di Stabia ha spiegato che è stato «chiesto alla Prefettura di convocare un Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica». (agg. di Silvana Palazzo)
I FALÒ DELL’IMMACOLATA DIRETTI DAI CLAN
Prima il messaggio con la scritta “Cosi devono morire i pentiti abbruciati”: poi il falò ai manichini e alla pira nei quartieri della periferia di Castellammare. Una sequenza che ha inorridito gran parte dell’opinione pubblica ma che in quelle zone è ormai diventata abitudine. Come riportato da La Repubblica, i falò nella notte tra il 7 e l’8 dicembre sono diventati da tempo una tradizione che da religiosa si è trasformata in ben altro. Negli ultimi anni si è infatti innescata una folle caccia alla legna che – spiega La Repubblica – “porta spesso a tagliare alberi, innescando una una gara tra chi fa il fuoco più grande, competizione dietro la quale i clan giocano un ruolo importante”. Stando a quanto si apprende, l’episodio avvenuto nel quartiere di Aranciata Faito non sarebbe infatti il solo: in diverse roccaforti della camorra sono stati appiccati altri falò. (agg. di Dario D’Angelo)
SINDACO CIMMINO, “INORRIDITO”
A Castellammare di Stabbia va in scena il falò contro i pentiti: una pira di legno alta una decina di metri ha preso fuoco con tanto di manichino e di un messaggio inquietante. “I collaboratori di giustizia devono morire così, bruciati”. E’ questo l’sms che il clan dei D’Alessandro ha voluto mandare a tutti i coloro che si sono pentiti negli scorsi mesi e che hanno portato a decapitare la stessa famiglia camorrista che controlla Castellammare. Sull’episodio si è espresso anche il sindaco Cimmino: «Rispettare le tradizioni non significa inneggiare alla violenza e alla criminalità organizzata. Tutto ciò è intollerabile. Pochi imbecilli non possono certo rovinare l’immagine di una festa di tutta la città. Quella del manichino non è Castellammare, quella dei falò illegali non è Stabia». Il primo cittadino stabiese ha aggiunto: «L’immagine del manichino sulla catasta è terribile ed il suo significato mette i brividi. Rabbrividisco e inorridisco non solo davanti agli autori di quel gesto frutto di una mentalità retrograda, vile, ignorante, da annientare con ogni mezzo a nostra disposizione, ma soprattutto davanti a quei cittadini che sono rimasti immobili». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
CASTELLAMMARE “I PENTITI DEVONO BRUCIARE”
«Così devono morire i pentiti, abbruciati». E’ questa la scritta choc che è comparsa su un falò in un rione di Castellammare di Stabia. Un episodio, che come riportato dai principali quotidiani italiani, si è verificato la scorsa notte, in quella che è considerata la roccaforte del clan D’Alessandro, colpito duramente negli ultimi tempi con l’arresto dei reggenti. Attorno alla mezzanotte è stato dato fuoco al falò, dove vi era presente anche un fantoccio, un manichino, e lo striscione di cui sopra. Uno spettacolo a cui hanno assistito anche diverse persone che hanno voluto applaudire, in segno di disapprovazione nei confronti di coloro che hanno “parlato”. Mentre il falò bruciava nel quartiere Aranciata Faito, sono stati fatti scoppiare anche dei fuochi d’artificio, davanti agli occhi del “popolo” del clan D’Alessandro, in una zona di Castellammare dove i fiancheggiatori della nota famiglia sono numerosissimi.
CASTELLAMMARE, FALO’ CONTRO I PENTITI
Le forze dell’ordine considerano quel rione il centro dello spaccio di droga del noto paese nello stabiese, nonché uno delle zone di maggiore potere, dove si progettano svariati malaffari della camorra. Come riferisce La Stampa, altri falò sono stati accesi in altre zone della cittadina, contravvenendo al divieto di accendere i fuochi. I destinatari del messaggio “abbruciati”, sembrerebbero essere Salvatore Belviso e Renato Cavaliere, i due super pentiti che hanno raccontato i segreti della cosca dei D’Alessandro e degli alleati, e che hanno dato il via all’operazione Olimpo, che ha permesso di incarcerare ben 14 persone, fra cui numerosi pregiudicati e imprenditori. Non è da escludere che le forze dell’ordine decidano di aprire un’indagine contro ignoti, in merito appunto al falò effettuato, anche se difficilmente si riuscirà a risalire al reale autore del gesto. Già in passato, dopo la collaborazione fra il pentito Belvisio e la magistratura, il clan D’Alessandro fece diffondere magliette con scritto «Meglio morto che pentito».