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Home » Cultura » COMUNISMO/ Scalfi: il “no” degli ortodossi alla riabilitazione di Stalin

  • Cultura

COMUNISMO/ Scalfi: il “no” degli ortodossi alla riabilitazione di Stalin

Romano Scalfi
Pubblicato 21 Gennaio 2010
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PADRE ROMANO SCALFI introduce e riporta il documento redatto dal vescovo Ilarion Alfeev in risposta alle pretese del generale Kopyshev, e di molti membri dello staff parlamentare russo, di riabilitare Josiph Stalin offrendone una versione edulcorata e politically correct

L’estate scorsa si è accesa una polemica tra il generale Kopyshev (esponente del partito comunista russo) e l’arcivescovo Ilarion Alfeev (presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca) riguardo al rapporto tra Stalin e il patriottismo russo. Il 22 dicembre 2009 è venuta la risposta ufficiale della Chiesa, tramite il monaco Filipp (Rjabych), vice di Alfeev, che ha indirizzato al generale una lunga lettera, dopo aver svolto ricerche particolareggiate negli archivi.


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Tenendo conto delle molte ambiguità sull’argomento che ancor oggi trovano spazio dentro la Chiesa russa (con delle facili equazioni: Chiesa ortodossa=difesa del popolo, Stalin= vincitore della guerra, quindi: salvatore del popolo), la lettera rappresenta una posizione finalmente chiara, ed esprime un giudizio che entra nel merito e discerne verità e mistificazione.


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Ecco alcuni passi salienti.

«Non di rado si afferma che Stalin proteggeva la Chiesa. Per dire queste cose occorre chiudere gli occhi sulla storia terribile delle persecuzioni, che per crudeltà e ampiezza hanno abbondantemente superato le persecuzioni della Roma imperiale. Nel 1917 in Russia si contavano 54.692 chiese parrocchiali e 1.025 monasteri. I sacerdoti parrocchiali erano 51.105, coadiuvati da 15.035 diaconi. Nella seconda metà degli anni 1930 tutti i monasteri erano stati chiusi». Quanto alle chiese, in tutta l’URSS nel 1939 ne erano rimaste aperte un centinaio.

La lettera prosegue fornendo dati ancora più precisi: nel 1928 furono chiuse 534 chiese, nel 1929 1.119; nel 1932 a Mosca di 500 chiese ne rimanevano aperte 87. Parallelamente procedeva l’eliminazione fisica dei sacerdoti ortodossi: nel 1937 ne furono arrestati 136.900 (di cui 85.300 fucilati); nel 1938 ne furono arrestati 28.300 (fucilati 21.500); nel 1939 1.500 (fucilati 900); nel 1940 ci furono 5.100 arrestati e 1.100 fucilati; nel 1941 ne arrestarono 4.000 (1.900 i fucilati).


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Leggendo i fascicoli giudiziari ci si convince che esisteva un sistema di terrore feroce e pianificato. È d’obbligo porsi la domanda: Stalin è personalmente responsabile di tutto questo? Si, è responsabile, non solo come capo del governo totalitario, ma anche come iniziatore primo delle persecuzioni contro la Chiesa e la religione. Nel decreto sul secondo Piano quinquennale, emanato 15 maggio 1932, accanto alle direttive economiche Stalin aveva fissato un altro obiettivo: dal 1 maggio 1937 “il nome di Dio deve essere dimenticato in tutto il paese”. Ciò non avvenne solo perché il Salvatore aveva promesso: “Io ho fondato la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”.


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Molti sostenitori di Stalin amano citare l’incontro che questi ebbe la notte del 4 settembre 1943 con i metropoliti Sergij, Aleksij e Nikolaj. Tuttavia l’esito di quell’incontro fu soltanto una certa riduzione delle persecuzioni. Questi cambi di rotta della politica staliniana erano dettati solamente da considerazioni pragmatiche, ma la direttiva di lotta contro la religione non fu mai corretta, l’ideologia di Stato rimase atea. In quel momento, i primi due anni di guerra avevano dimostrato che si poteva vincere soltanto se tutto il popolo fosse stato disponibile al sacrificio. Nel censimento del 1937 il 57,7% della popolazione si era dichiarato credente. Questo fatto costrinse Stalin a rimangiarsi le dichiarazioni del 15 maggio 1932 sulla distruzione totale della religione, perché avrebbe suscitato fastidio nel popolo. Il secondo motivo delle concessioni era di carattere esterno. Una maggior tolleranza verso le associazioni religiose era dettata da motivi propagandistici nei confronti degli alleati. I fatti dimostrano che le persecuzioni si calmarono ma non cessarono. In quel periodo restava in reclusione il vescovo Afansij (Sacharov); il 5 novembre 1943 venne rinchiuso nella prigione di Jaroslavl’ il vescovo Vasilij (Preobraženskij), che il 13 agosto 1945 morì al confino. Nel settembre del 1944 venne arrestato l’archimandrita Serafim, morto martire in prigione. E si possono fare altri esempi di persecuzione dello Stato contro la Chiesa anche dopo il 1949, fino alla morte di Stalin (1953).


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Nel 1948 incominciarono nuovi arresti fra il clero, che continuarono fino al 1953 e soprattutto riprese la metodica chiusura delle chiese. Se nel 1948 in URSS erano aperte 14.500 chiese [vanno infatti considerate le chiese presenti nei nuovi territori annessi con la guerra], negli ultimi anni della vita di Stalin ne furono chiuse circa mille.

In difesa di Stalin si cerca di sostenere che era credente. Questa opinione non è suffragata da nessun fatto. Ed è legittimo chiedersi: come poteva un cristiano creare un regime così disumano? Durante gli anni di Stalin furono fucilati e massacrati nei lager milioni di persone. Nell’archivio di Stato russo vi è un documento che fa inorridire. Si tratta di un libro segreto preparato dalla Direzione generale dei lager sul “lavoro con i minorenni e i bambini abbandonati”, in cui si dice: “Attualmente nel sistema del Gulag ci sono 50 colonie di tipo chiuso e aperto. Attraverso le colonie di lavoro sono transitati 155.506 adolescenti tra i 12 e i 18 anni, dei quali 68.927 con condanna penale, e 86.579 senza condanna”.


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Alla luce di quanto abbiamo detto vorrei chiedere in che cosa si distinguevano lager tremendi come quello di Karanda e altri, da Auschwitz, Dachau e Buchenwald? Rispondo che si distinguevano principalmente dalla popolazione: nei lager hitleriani erano rinchiusi soprattutto prigionieri, mentre nei lager staliniani mettevano i propri compatrioti. Possibile che fossero tutti nemici del popolo? Stalin è stato la rovina di milioni di persone. Perché nascondersi questa verità e fare di lui un eroe? Il tentativo di dipingere un terribile persecutore della Chiesa come un bravo cristiano e un benefattore è pericoloso, e può soltanto recare un danno spirituale. In questo modo si cancellano i confini fra bene e male. L’abitudine al male è la malattia terribile del nostro secolo».

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