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Home » Cultura » CENSIS/ Franco Loi: il desiderio in noi non si spegne, me lo ha insegnato un operaio

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CENSIS/ Franco Loi: il desiderio in noi non si spegne, me lo ha insegnato un operaio

Int. Franco Loi
Pubblicato 16 Dicembre 2010
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Foto Imagoeconomica

FRANCO LOI, poeta e scrittore, parla con il sussidiario del volantino di Cl. «Nessuna crisi farà smettere il nostro spirito di desiderare»

«Ha ragione don Giussani a parlare di appiattimento del desiderio. È il male della nostra epoca. Ma nessuna crisi farà smettere il nostro spirito di desiderare, perché è il rapporto col mistero che dà uno spessore indistruttibile al nostro desiderio. Però dobbiamo saperlo». Franco Loi, poeta e scrittore, parla con il sussidiario del volantino di Cl. «Nessuna crisi farà smettere il nostro spirito di desiderare»


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C’è una crisi del desiderio, dice il Censis. È così?

Dipende. Cosa vuol dire crisi del desiderio? È possibile non desiderare più? Chi lo dice non sa che cos’è l’uomo. Ci sono tanti desideri: di stare bene, dei soldi, di una donna, della fama, del sapere. Non sono gli unici.

Julián Carrón, parlando di recente ad una platea di imprenditori, ha iniziato con una citazione della scrittrice americana Flannery O’Connor: «se la vita ci soddisfacesse, fare letteratura non avrebbe alcun senso».


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È vero. È lo stesso per tutto quello che l’uomo fa. Non siamo soddisfatti perché al nostro vero desiderio non bastano i beni limitati e materiali. Il desiderio che non è mai sazio è il desiderio di Dio. Non è più questione di pensiero, ma di un anelito alla perfezione che prende tutto il nostro essere.

Lei è un poeta. Cosa vuol dire per lei questo desiderio?

Il raziocinio, come ha detto bene Hölderlin, si ferma di fronte all’assoluto. Nessuno può dare una spiegazione razionale del mistero. Ma nell’arte l’assoluto non è più solo un’immagine mentale: lo sento con tutto me stesso come esistente. Allora è il rapporto col mistero che dà una fisionomia, uno spessore indistruttibile al nostro desiderio.


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«Nell’appiattimento del desiderio – ha detto Luigi Giussani – ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti; e nella astenia generale l’alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano». È d’accordo?

Ecco, vede cosa dice? “Nell’appiattimento del desiderio”. Dire che ci viene a mancare il desiderio, è troppo, è teorico, astratto. Ma l’appiattimento del desiderio, sì. È l’abbassamento del desiderio a tutto ciò che è materiale. È questo che dice Giussani. E ha ragione, perché la maggior parte della gente non sa cosa desidera. Desiderano le cose, ma il desiderio di felicità è ben oltre. Cos’è la felicità? C’è gente che è ricca, sta bene, ha tutto, e piange. Perché? Quando muore sua madre, anche Berlusconi piange. Ma chi crede sa che non si muore.


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È il benessere che ha «appiattito» il nostro desiderio di infinito?

Certamente è anche questo. Quando io ero ragazzo e si arrivava al fondo della questione, tutti – cattolici e comunisti, ma soprattutto i contadini e gli operai – dicevano: non c’è più religione! Non c’entra la fede, ma il fatto che il desiderio di infinito che è in noi è stato tradito. Chi ha affinato lo sguardo e ha una coscienza sveglia, capisce che l’uomo non è solo corpo, e ha dentro desideri così profondi che parlano di una realtà che non finisce. Ma chi non ha l’abitudine di guardarsi dentro, di farsi una sua opinione delle cose, è destinato ad essere dominato dall’esterno.


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Chi o che cosa può ridestare il desiderio? È questo – si dice nel volantino – il problema culturale della nostra epoca…

 

Lo possono fare uomini che hanno rivolto il proprio desiderio allo spirito, persone che desiderano Dio più di ogni altra cosa. Erano così don Giussani, don Milani, madre Teresa, san Francesco. La Chiesa non li ha accolti sempre bene. Oggi uno come san Francesco lo chiuderebbero in manicomio. Ma non parlo di un vago spiritualismo: il desiderio di persone così è lo stesso che muove anche la cultura.

 

Cos’è secondo lei la cultura?

 

L’ho imparato da un operaio, che una volta mi disse: io amo il mio lavoro, perché mentre lavoro se sto attento imparo qualcosa del ferro e qualcosa di me. Avere cultura vuol dire scoprire che noi non siamo solo corpo ma anche qualcos’altro, e questo qualcos’altro è quello che io, qualunque cosa faccia, voglio scoprire sempre di più.


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La bellezza può ridestare il nostro desiderio?

 

È una strada. Ma è come per il desiderio: quale bellezza? Noi desideriamo profondamente una bellezza che ci porti alla verità. Cerchiamo la bellezza dell’essere, completo, intero, non quella della forma esteriore; non la bellezza estetizzante, ma la luce che brilla dentro gli uomini. E infatti noi guardiamo sempre una persona negli occhi, perché è da lì che capiamo chi è… Abita dentro, la bellezza, non fuori.

 

 

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  • Tags: Julian CarronDon Luigi Giussani

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