STORIA/ Solidarnosc, una “risposta” di Dio ad Auschwitz?

- Adriano Moraglio

Nel 30simo anniversario del riconoscimento di Solidarnosc, il 22 settembre 1980, ADRIANO MORAGLIO si interroga sul senso di quella “rivoluzione” in una terra oltraggiata dallo sterminio

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Il papa polacco, Solidarnosc e l’impulso di coscienza della dignità dell’uomo, insieme all’anelito alla libertà e all’indipendenza che negli anni ’80 del secolo scorso hanno percorso tutta l’Europa dell’Est fino a cambiarne i connotati geografici e politici – dopo il crollo del muro di Berlino e il disfacimento del comunismo sovietico – sono stati la risposta di Dio e degli uomini a quella “valle oscura” che l’umanità ha attraversato ad Auschwitz, a Birkenau e in tutto il sistema dei lager nazisti. A questa conclusione, per me finalmente pacificante – proprio mentre ricordiamo in questi giorni il riconoscimento pubblico di quel grande movimento di libertà, oltre che sindacato dei lavoratori, che fu Solidarnosc (il 22 settembre 1980) e da cui è rinata l’Europa –  sono arrivato quest’estate dopo una commovente e sconvolgente visita al campo di concentramento di Oswiecim, originario e attuale nome polacco dei lager di Auschwitz e Birkenau, singolare patrimonio universale del male che può compiere l’uomo.

In altre parole, ciò che mi si è palesato con evidenza è che se la Polonia ha ospitato nei primi anni ’40 del ’900 il “luogo dell’orrore”, dove si è determinato un “accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia”, luogo che ha fatto gridare al papa tedesco, a Benedetto XVI, il 28 maggio del 2006 proprio ad Auschwitz “Perché Signore hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”, in quella  stessa Polonia, ricaduta nel baratro, nel Dopoguerra, a causa della dittatura comunista, la coscienza e la libertà – quarant’anni dopo – hanno avuto la meglio, preannunciando i grandi sommovimenti dell’’89.

Papa Ratzinger ad Auschwitz aveva detto che “noi non possiamo scrutare il segreto di Dio”: certo è, però, che guardando oggi quella storia non si può che ritenere plausibile che Dio, alla fine, non abbia taciuto, ma che, anzi, abbia risposto (sebbene con ritardo rispetto al nostro metro e alle nostre misure umane) al grido e al martirio dell’umanità consumati in quella landa di terra polacca. In che modo? Suscitando, prima, un papa come Karol Wojtyla la cui visita in Polonia del 1979 fu decisiva nel dare coraggio al popolo, il quale, poi, l’anno dopo, sostenne quella rivoluzione pacifica che era cominciata con gli scioperi nei cantieri di Danzica, a Stettino, nelle acciaierie di Nowa Huta a Cracovia, come ha documentato la bellissima mostra su Solidarnosc di quest’anno al Meeting di Rimini.

Si può leggere, insomma, un disegno redentivo, che nasce però da uno sgomento, quello stesso che lo scorso agosto io, mia moglie e i miei amici abbiamo provato calpestando la terra e visitando i luoghi dove è stato sterminato quasi un milione di persone.

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“Dove eri Dio in quei giorni?”: questa domanda “opprimente per un cristiano”, come disse ad Auschwitz papa Ratzinger, ce la siamo portata dentro seguendo un giovane polacco che d’estate accompagna i turisti in visita utilizzando parte delle sue ferie. Guardando le foto della deportazione, le case di detenzione, le grandi teche con l’ammasso dei capelli tagliati per farne tessuti, gli ammassi di scarpe di uomini, donne e bambini, di pettini e occhiali, di valigie coi nomi e cognomi degli ebrei e di tutti gli altri “rappresentanti” dell’Europa schiacciata dal nazismo. Passando poi davanti al muro delle esecuzioni, nel blocco dove fu scoperto il gas assassino “ciclon B”, visitando le camere a gas, i forni crematori, il blocco delle sperimentazioni mediche e, a Birkenau, le terribili casermette delle donne, quelle malate e in fin di vita, ammassate nei loro letti-loculi. E poi le latrine, i lavabi… e altre camere a gas e altri forni crematori…

   

“Dove eri Dio in quei giorni?”. Ho pensato: “Io chiedo aiuto ogni giorno a Dio. Mi sembra che abbia sempre risposto al mio grido”. E al loro grido? Quanto avranno pregato, ebrei, cristiani, ma anche atei e agnostici, di essere salvati? Quante volte sacerdoti coraggiosi avranno consacrato una briciola di pane per portare Cristo dentro quella tragedia? Allo sgomento di queste domande, di fronte al mistero insondabile di ciò che è successo (e di ciò che, tanto desiderato con preghiere e lacrime, con tormenti e morte, non è accaduto) sono arrivato alla conclusione che sicuramente Dio ha parlato al cuore di quegli uomini mentre andavano alla morte. Se Dio ha apparentemente taciuto esternamente, nella drammatica scelta – che fatica per Dio, Lui che è misericordia, è tenerezza, è amore verso l’uomo! – di lasciare agli uomini malvagi e alla loro libertà il corso dei giorni, non può aver taciuto nel cuore delle vittime.

 

Così è possibile dire che questi santi, tutti, non solo padre Kolbe o Edith Stein, di fronte ai quali occorre inchinarsi profondamente, sono stati il terreno fertile su cui altri uomini – inginocchiandosi per confessarsi, facendo la fila per la comunione, appendendo ai cancelli delle fabbriche l’immagine della Madonna Nera e lottando per i 21 punti della loro piattaforma sindacale – hanno cominciato, loro malgrado, a trasformare tutta l’Europa. Non solo grazie alla loro sete di libertà – quanti rivolgimenti fino a quel momento erano finiti nel nulla! – ma per l’evidente forza di Dio autoCrocifisso. Non a caso alla domanda “Dio dove eri?”, lo stesso Papa ha risposto rivolgendo il suo pensiero alle suore carmelitane del convento vicino ad Auschwitz: “Ricordano a noi la fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso è sceso nell’inferno della sofferenza e soffre insieme con noi”.

 

 

 







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