Se oggi noi possiamo ammirare il Cenacolo di Leonardo, è tutto merito di questa signora che ha dedicato 20 anni della sua vita al recupero meticoloso di questo capolavoro. La signora si chiama Pinin Brambilla Barcilon, ed è una delle più importanti restauratrici del mondo. Personaggio molto schivo, solo oggi, ad oltre 15 anni dalla conclusione di quel pazientissimo lavoro, Pinin Brambilla ha raccontato la sua straordinaria avventura in un libro, che è tutto da leggere (La mia vita con Leonardo, Electa).
Quando alla fine degli anni 70 salì sui ponteggi per affrontare la pulizia della più famosa pittura murale del mondo (purtroppo, com’è ben noto, non si può parlare di affresco, perché Leonardo usò una tecnica tutta sua), il Cenacolo era un’immensa macchia scura. Su quel che restava della fragile pellicola pittorica, secoli di restauri si erano accaniti, con risultati che nel tempo si rivelavano devastanti. Leonardo si era salvato miracolosamente dai bombardamenti americani del 1943, ma di Leonardo nel Cenacolo si vedeva solo il disegno generale. Il resto era stato sommerso sotto strati di colle e ridipinture.
Il primo impatto della restauratrice con Leonardo fu spiazzante. «Non riuscivo a capire la materia», scrive nel libro, «era un ammasso di grumi, disseminata di piccole zone chiare là dove era caduta la superficie dipinta». Leonardo sfuggiva. A volte era stato così profondamente modificato dall’accumulo di interventi, da cambiare persino i connotati dei personaggi: come era accaduto con l’apostolo Simone, l’ultimo sulla destra, a cui era stata addirittura imposta una rotazione del volto, irrigidito di profilo, mentre Leonardo lo aveva dipinto di tre quarti, con una leggera stupenda torsione del collo. A Simone era stata aggiunta anche una barba che non c’era, e il suo gesto con le mani aveva perso il senso di stupore che invece oggi invece possiamo vedere.
Per trovare il vero Leonardo si doveva dunque liberare la superficie per andare a scovare quelle piccole scaglie di colore che si erano conservate. Un lavoro certosino, realizzato a pochi centimetri quadrati al giorno, che alla fine del percorso, nel 1999, ha portato a restituire al Cenacolo un’immagine pallidamente simile a quella che doveva essere all’origine.
Qual è la forza di questa icona universale, replicata in milioni di versioni diverse? Pinin Brambilla la sintetizza così: «La sua pittura, riconoscibile tra mille, è piena di intuito e capace di cogliere l’attimo in cui tutto si manifesta». L’attimo in cui tutto si manifesta: Leonardo nella rappresentazione dell’Ultima Cena sceglie l’istante in cui Gesù annuncia che qualcuno di quelli che sono al tavolo con lui lo tradirà. È il momento dello sconcerto, dello spiazzamento, del sospetto anche. Il tavolo è scosso da un terremoto psicologico che come un’onda investe tutti.
In genere le rappresentazioni dell’Ultima Cena privilegiavano il momento successivo, quello in cui Giovanni appoggia la testa sul petto di Gesù e arriva la rivelazione sul nome del traditore. È paradossalmente un momento in cui agli apostoli vengono restituite delle certezze, per quanto drammatiche siano.
Invece con Leonardo sono ancora tutti in gioco e il gesticolare di ciascuno lascia trapelare la concitazione e la paura che trapassa quell’istante. È l’istante in cui Pietro, il primo degli apostoli, s’avvicina a Giovanni, che è il più amato, e gli suggerisce di chiedere a Gesù di rivelare il nome. La solitudine del Signore al centro accentua questa sensazione che tutti siano in qualche modo coinvolti nell’annuncio fatto dal Signore. La gestualità diventa centrale nella costruzione della scena: le 130 dita, analizzate in un celebre saggio di André Chastel, sono come il sismografo del dramma. Sono proprio le mani a costruire la catena parlante di questo capolavoro; una catena che lega gli undici e che significativamente taglia fuori proprio Giuda, il quale si sporge in avanti sul tavolo e in sostanza si autoesclude. Ma anche Giuda ha avuto un regalo dal restauro di Pinin Brambilla. Gli è stato restituito quel manto stupendo che dal turchese dell’azzurrite sfuma in toni chiari e scuri. E gli è stata restituita anche la sacca dei soldi che stringe nella mano e che era stata cancellata dai vecchi restauri.