Non esiste forma artistica vera che non nasca da una qualche forma di inquietudine e non esiste inquietudine senza nostalgia. La percezione spirituale, ma anche fisica – della carne e del sangue – di una mancanza, di “qualcosa” cui inevitabilmente il cuore tende.
Così, da sempre, la montagna rappresenta nell’immaginario collettivo di interi popoli e culture e religioni l’orizzonte naturale, diremmo istintivo verso cui tendere: con la mente, gli occhi, l’anima. E, naturalmente, il corpo stesso.
Non è un caso, solo per fare un esempio, che la Bibbia sia piena di riferimenti ai rilievi montuosi (Ararat e Tabor fra i tanti) o che tutte le catene alpine del mondo ospitino qua e là croci di ferro, di marmo, di legno, quasi a identificare la fatica e il dolore di una scalata con la fatica e il dolore di Chi salì in cima al Golgota. La montagna come espiazione dai peccati e rifugio dalle intemperie della vita, come luogo di salvezza e di pace assoluta. Luogo della bellezza per antonomasia.
Tutto questo deve aver mosso i passi e la penna di Alfredo Tradigo, giornalista che per anni ha lasciato la propria firma su periodici a tiratura nazionale (Oggi e Famiglia Cristiana), poi scrittore giustappunto inquieto fra arte e natura (per Electa Mondadori uscì Icone e Santi d’Oriente, per San Paolo il magnifico L’uomo della Croce), ma anche poeta di fede radicata, che oggi regala per l’editrice Mimep Docete un libro di grande valore letterario e iconografico, azzeccato sin dal titolo: Per salire bisogna crederci, con una corposa prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi.
Il sottotitolo “itinerari di fede e montagna” non deve trarre in inganno. Niente a che fare con una semplice “guida a…” o qualcosa di simile. In verità, l’appassionata ricerca di Tradigo ha consentito di racchiudere in trecento pagine fittissime più di un filone culturale, così che possiamo dire di avere fra le mani tanti libri in uno.
Ci imbattiamo allora nelle montagne dei testi sacri cristiani, delle croci e delle statue, di sacerdoti, santi o personaggi in odore di santità (Pier Giorgio Frassati, don Luigi Giussani, san Giovanni Paolo II), di santuari, di eventi storici epocali (la Guerra Bianca del ’15-’18), di artisti, poeti e tanti appassionati che per vie ferrate o semplici sentieri non hanno saputo o voluto resistere al fascino misterioso della “salita”, dove il cammino lento e affaticato induce alla meditazione e al silenzio. Perle rare, eppure vive.
“Questa tua mano sulla roccia / fiorisce: / non abbiamo paura del silenzio” scrive la penna tormentata di Antonia Pozzi nella poesia “Salita”, riportata da Tradigo fra tanti altri riferimenti letterari antichi e nuovi.
“Ho scritto questo libro – afferma l’autore – per far sapere a tutti che per salire bisogna crederci. Bisogna credere che quando sarai solo e in difficoltà potrai sempre contare sulla Grande Presenza che tra le cime e sui sentieri, quanto la tua vita è appesa a un filo, immancabilmente si rivela. Dio nascosto tra le guglie alpine che a me ricordano sempre quelle del Duomo di Milano”.