Durante la visita di leva aveva detto di essere gay e la motorizzazione civile gli ha ritirato la patente. Da quel giorno per Danilo Giuffrida è iniziata una battaglia legale che non si è ancora conclusa.
PRIVO DI REQUISITI PSICOFISICI – Tutto è iniziato nel 2005, quando al termine dei «tre giorni militari» l’Esercito stabilì che il giovane,oggi 28enne, non aveva i «requisiti psicofisici richiesti» per poter guidare. Gli fu quindi sospesa la patente e fu stabilita una revisione dell’idoneità. Giuffrida non accettò l’ingiustizia e chiese al legale Giuseppe Lipera di presentare ricorso. Il giovane si rivolse alla sede di Catania del Tribunale amministrativo siciliano e ottenne la sospensione del provvedimento. Come scrive il Giornale, i magistrati ritennero che l’omosessualità «non può considerarsi una malattia psichica» e gli restituirono la patente.
RISARCIMENTO DANNI – Oltre a presentare ricorso, Giuffrida chiese anche il risarcimento dei danni ai ministeri della Difesa e dei Trasporti dalla quale ottenne, in primo grado, il pagamento di 100 mila euro. In questi giorni la Corte d’appello di Catania ha confermato in sede civile la sentenza del Tar, ma ha ridotto a 20 mila euro il risarcimento. Il difensore Lipera si è dunque appellato alla Corte di cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza di secondo grado, con rinvio a un’altra Corte d’appello per «omessa motivazione, illogicità e erroneità nella quantificazione del danno morale».
«SERVE UNA SENTENZA ESEMPLARE» – A stretto giro il commento di Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, secondo cui «fa bene Danilo a ricorrere in Cassazione. In questo Paese, dove i diritti civili delle persone omosessuali, ma anche dei migranti, dei disabili, delle donne e di tante altre persone sono quotidianamente calpestati, sono necessarie sentenze esemplari, che devono essere un monito a difesa delle affermazioni contenute nella Costituzione. Solo in Italia può accadere, come ha dovuto subire Giuffrida, che si sospenda la patente di guida in quanto gay».
IL COMMENTO DI ARCIGAY – Mentre per il presidente nazionale di Arcigay, Paolo Patané, «evidentemente ancora una volta dai tribunali arriva un riconoscimento di diritti e tutele rispetto al quale il legislatore è ancora assente. Quando in una democrazia la politica perde di efficienza e i tribunali sono costretti a garantire agli individui quello che la politica non garantisce, siamo di fronte a un problema». Un ragionamento che non tiene conto del fatto che nessuna legge in Italia autorizza a sospendere la patente a una persona in quanto gay, anche se per Patané «forse valeva la pena di avere coraggio fino in fondo e confermare anche l’entità del risarcimento, anche perché si tratta di una vicenda esemplare. Forse, al di là della questione strettamente economica, la natura della vicenda richiederebbe di evidenziare la gravità dell’accaduto con una sanzione alta anche dal punto di vista economico».
LA REPLICA DELL’AVVOCATURA – Nel 2008, dopo che i giudici avevano ordinato all’Avvocatura dello Stato di pagare 100mila euro, il suo staff legale aveva commentato: «I Trasporti non c’entrano, è la Regione Sicilia che ha competenza in materia di motorizzazione». Aggiungendo che neppure il ministero della Difesa deve essere chiamato in causa, in quanto: «l’esonero dal servizio militare non è stato deciso perché il giovane era gay, ma perché affetto da disturbi della identità in genere». Mentre Sergio Rovasio, segretario dell’associazione «Certi diritti», aveva replicato: «Il ricorso è un atto talebano, ricorrere contro quella sentenza dimostra che il nostro è un Paese retrogrado». Mentre l’avvocato Lipera aveva sottolineato: «Non ci accontenteremo più della cifra indicata dal tribunale, di cui per altro non abbiamo visto un euro, ma chiederemo almeno 500 mila euro. Se non ci pagheranno neppure questa volta, faremo pignorare qualche carro armato al ministro della Difesa».
(Pietro Vernizzi)