La parità di genere continua ad essere argomento di dibattito nell’industria cinematografica. Dalla limitata presenza di donne nel settore alla minore visibilità nella professione, fino a sessismo e stereotipi: c’è ancora tanta strada da fare, questo è lapalissiano, ma qualcosa sta finalmente cambiando e senza dover ricorrere alle “quote”, spesso invocate a sproposito. L’inizio di un’evoluzione sostanziale toccata con mano nel corso del 2021 ai Festival di Cannes e Venezia, una trasfigurazione coniugabile a una parola chiara e precisa: valorizzazione. Seppure tra mille difficoltà, le donne hanno dimostrato di poter realizzare film più ambiziosi e stimolanti dei colleghi uomini, con linguaggi cinematografici nuovi. E ora è arrivato il momento di raccogliere i frutti, con merito.
Pensiamo appunto a “Titane” di Julia Ducournau, premiato con la Palma d’Oro sulla Croisette: un’opera a cavallo tra horror, fantasy, commedia nera e thriller, con un interessantissimo lavoro sulle immagini. Cinema allo stato puro. Forza e personalità non sono mancate nemmeno a Audrey Diwan con “La scelta di Anne – L’Événement”, Leone d’Oro all’ultima Mostra veneziana e distribuito da Europictures (casa guidata da un’altra donna di talento e di grande lungimiranza, Lucy De Crescenzo): un racconto sull’aborto militante che lascia senza fiato per potenza e intensità. In altri termini, tra i film più importanti degli ultimi venti anni. Il triplete al femminile nei grandi Festival internazionali è stato registrato qualche settimana fa alla Berlinale: Orso d’oro ad “Alcarràs” di Carla Simón, tra le giovani promesse del movimento spagnolo.
Ma gli esempi sono tanti, da Chloé Zhao a Emerald Fennell, passando per Mati Diop e Céline Sciamma: registe meritevoli per valore e levatura che probabilmente qualche anno fa non avrebbero ottenuto la giusta considerazione. Anche in Italia, fortunatamente, si sta investendo molto sui talenti più interessanti del panorama femminile: pensiamo al successo di Susanna Nicchiarelli, all’esordio folgorante di Michela Cescon con “Occhi blu”, o ancora alla crescita esponenziale di talenti cristallini come Alice Rohrwacher e Letizia Lamartire accompagnata da produzioni sempre più importanti. Nonostante qualche resistenza che riguarda solo una minoranza rispetto alla consapevolezza collettiva, la strada è quella giusta. I grandi Festival lo hanno dimostrato: non servono le quote fisse per fare emergere il talento delle registe, il genio e la stoffa non hanno sesso.
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