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Home » Esteri » Medio Oriente » DA GAZA/ “Subito aiuti per chi vive tra le macerie e in tenda, perché le bombe non si sono interrotte?”

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DA GAZA/ “Subito aiuti per chi vive tra le macerie e in tenda, perché le bombe non si sono interrotte?”

Int. Ibrahim Faltas
Pubblicato 19 Gennaio 2025
Nel campo rifugiati palestinesi di Al Maghazi (Ansa)

Nel campo rifugiati palestinesi di Al Maghazi (Ansa)

Per padre Faltas “questa tregua deve essere un inizio, aspettiamo la pace”. Ma Israele ha bombardato anche dopo l’annuncio dell’accordo

L’annuncio della tregua non è bastato. L’agenzia Wafa, dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), riferisce di tre civili uccisi nel quartiere di At Tuffah, a est di Gaza, di padre e figlio morti dopo un attacco nella zona di Al Jurn e di una famiglia di cinque persone (padre, madre e tre figli) che viveva in una tenda e che ha perso la vita dopo un attacco dell’IDF nella zona di Mawasi, nella città di Al Qarara. E lo stesso è successo a Khan Younis. Tutti episodi che si sono verificati nell’attesa che le armi smettessero di sparare. E sono solo alcuni di quelli che hanno contribuito a ingrossare il bilancio dei morti ufficiali, ora giunto a quota 46.876, con oltre 110mila feriti.


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Il cessate il fuoco, davanti a tutto questo orrore, rappresenta comunque una speranza. Ora sta ad Hamas e Israele, spiega padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, prima rispettare i patti e poi avviare una vera trattativa di pace. La liberazione degli ostaggi (33 nella prima fase, con Israele che avrebbe una lista di 737 palestinesi da liberare) e la fine temporanea dei combattimenti devono essere un segno che conduce in questa direzione per porre fine alle sofferenze di entrambi i popoli.


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I palestinesi di Gaza ora hanno bisogno di tutti i beni di prima necessità e, per il futuro, di un governo di unità nazionale. Mentre la comunità internazionale deve vigilare sulla Cisgiordania, perché non diventi teatro, più di quello che è già, di violenze come quelle viste nella Striscia. A Tel Aviv, intanto, un giovane palestinese ha ferito seriamente un uomo. L’aggressore è stato ucciso, non un buon auspicio per la tregua.

Come ha accolto la gente l’annuncio della tregua a Gaza? Come si stanno vivendo le ore di attesa dell’inizio? La guerra è continuata lo stesso?

La gente ha accolto l’annuncio della tregua con molta gioia. Abbiamo visto persone esultanti e sorridenti perché sapere che ci sarebbe stato un cessate il fuoco ha fatto tornare la speranza della fine della guerra. Sono persone che vivono fra le macerie e nelle tende, al freddo, con tanti disagi e tante mancanze. Hanno gioito, ma i bombardamenti non si sono interrotti. L’attesa è stata macchiata di sangue, possiamo solo sperare che oggi, domenica 19 gennaio 2025, sia la data del vero inizio del processo di pace.


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Gli ordinari cattolici di Terra Santa vedono nell’intesa un segno di speranza. Cosa dovrà succedere perché questa speranza si realizzi? Cosa si può chiedere ad Hamas e Israele per sfruttare al meglio l’occasione del cessate il fuoco?

Questo accordo è certamente un segno di speranza. Lo abbiamo atteso e implorato. Penso che questa tregua arrivi dopo troppi morti e tanta sofferenza, ma bisogna cogliere questa opportunità per rafforzare le basi per proseguire nelle altre fasi che porteranno a una conclusione definitiva della guerra. Alle parti in guerra chiederei innanzitutto il rispetto degli impegni presi, a partire da ora. Avrei un’altra richiesta, ma è difficile da ottenere.

Qual è?

Chiederei di avere il coraggio di perdonare. Entrambi i popoli hanno sofferto e non chiedo di dimenticare, ma, nel rispetto delle reciproche sofferenze, di comprendere che solo cancellando odio e vendetta si può ricominciare a rispettare la vita.

Quali sono le prime cose da fare approfittando della tregua, per i bisogni delle persone nella Striscia?

A Gaza manca tutto e da troppo tempo. A Gaza hanno fame, hanno freddo, non hanno cure mediche, hanno bisogno dei beni essenziali e senza questi la gente muore e soffre. A questo voglio aggiungere che alla gente di Gaza mancano gesti di umana solidarietà, come un sorriso o un abbraccio; ai bambini e ai ragazzi manca l’accoglienza di un insegnante in un’aula scolastica. A chi da più di 15 mesi guarda impotente l’orrore della guerra è mancata la possibilità di poter aiutare, gesti di vicinanza fraterna e concreta.

Lo sguardo va per forza di cose a quello che succederà dopo la tregua. Come dovrà essere il futuro di Gaza, chi la dovrà governare e come?

Gaza è parte dei territori palestinesi, è terra palestinese anche se fisicamente divisa dalla Cisgiordania. La tregua deve essere un’occasione importante per definire il futuro di Gaza e della Palestina. Le macerie della guerra, quelle visibili e quelle nascoste, siano memoria e stimolo per rafforzare un governo di unità per il popolo palestinese che soffre da 70 anni e che ha diritto a un’identità nazionale e alla stabilità.

Diversi analisti ritengono che l’attenzione dei militari israeliani potrebbe andare alla Cisgiordania: c’è il rischio che la guerra si sviluppi lì?

Ho letto alcuni articoli di analisi che prospettano questa ipotesi, forse anche per la continua presenza dell’esercito israeliano e dei coloni in Cisgiordania. Penso che, se è iniziato un percorso per ripristinare equilibri fra i due popoli, sarà la comunità internazionale a dover intervenire per bloccare altri sviluppi di una guerra che è già stata devastante. Vigilare e controllare è responsabilità di chi ha il potere di fermare le guerre. Questa tregua è un inizio, aspettiamo la pace!

(Paolo Rossetti)

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