Il Libano è in trattativa con Banca mondiale e FMI per la ricostruzione. E deve ancora disarmare Hezbollah. Ma tra gli sciiti si fanno strada i moderati

Deve disarmare definitivamente Hezbollah, riportare tutto il territorio sotto il controllo dell’Armée libanaise, ma anche disinnescare la presenza di Hamas e riprendersi in toto il sud del Paese, dove sono ancora presenti i soldati israeliani. E, per finire, deve fare attenzione al confine con la Siria. Il Libano sta cercando faticosamente di rilanciarsi, spiega Giulio Centemero, deputato della Lega, presidente del Pam, l’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, ma ha ancora molta strada da fare.



La guida del nuovo Presidente della Repubblica, Joseph Aoun, e del capo del governo, Nawaf Salam, sta dando fiducia al Paese, che ora sta negoziando con Banca Mondiale e FMI per uscire dalla crisi finanziaria e programmare la ricostruzione.

Il vero problema, però, è il disarmo di Hezbollah, fortemente indebolito dagli attacchi di Israele. Oltre a disporre di una forza militare, è anche un partito politico e, insieme all’altra formazione sciita, quella di Amal, ostacola il processo che dovrebbe portare l’esercito a essere l’unico autorizzato a detenere armi. Nel fronte sciita, però, starebbe nascendo un ulteriore gruppo politico che potrebbe cambiare l’orientamento della rappresentanza di questa confessione religiosa.



Il Libano ha iniziato una nuova fase politica grazie all’elezione di un Presidente della Repubblica e alla nomina di un governo, che finalmente può esercitare tutti i suoi poteri. A che punto è il rilancio delle istituzioni? Ha già avuto effetti concreti sulla vita del Paese e della gente?

Al momento non si sono ancora manifestati effetti concreti, anche se l’ottimismo è diffuso tra la popolazione e l’economia è in lieve ripresa. Sono iniziati dei colloqui con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale per affrontare i temi della crisi finanziaria (in particolare il collasso del sistema bancario, che ha provocato il semi-congelamento dei conti correnti) e della ricostruzione.



Durante il weekend si terranno le elezioni municipali, da cui capiremo l’umore politico rispetto ai partiti che sostengono il governo e quelli che lo avversano. Mentre il vero milestone saranno le legislative del prossimo anno.

Le nuove autorità devono procedere alla demilitarizzazione di Hezbollah per garantire il pieno controllo del territorio da parte dell’esercito libanese. Secondo alcuni, le postazioni sono state smantellate al 90 per cento. A che punto è l’operazione e quali ostacoli ci sono ancora da superare?

Da quanto si percepisce, l’operazione è a buon punto e gli scogli percepiti risiedono nelle posizioni politiche, talvolta oltranziste, di una gran parte del tandem partitico di matrice sciita composto da Hezbollah e Amal. Pare, però, che stiano emergendo nuove posizioni e addirittura una possibile nuova forza politica di matrice sciita moderata che potrebbe spostare l’asse delle posizioni del blocco di rappresentanza.

Il presidente Aoun ha messo in guardia Hamas, non vuole che usi il Libano come base. Lo scorso mese erano stati arrestati 13 miliziani per lanci di razzi contro Israele. Hamas è un pericolo reale all’interno del territorio libanese?

È un pericolo, ma è limitato e confinato a sud. Giustamente il governo vuole affermare l’integrità territoriale e l’indipendenza del Paese dei Cedri nella sua interezza e non farsi trascinare in conflitti estranei alla Repubblica e cagionevoli per la popolazione.

In Siria si segnalano violenti scontri tra i drusi e milizie che hanno legami con le forze ora al governo a Damasco. I drusi libanesi hanno manifestato la loro solidarietà. Che rapporti ci sono ora con la Siria? Il Libano rischia un nuovo conflitto su questo confine?

Sulla stampa locale ogni tanto si legge di scaramucce tra i due lati del confine. La situazione interna in Siria è fragile e complicata: non penso che il premier attuale abbia il controllo puntuale di tutte le milizie della sua “coalizione”. In questa fragilità dubito si aprirà un fronte tra Siria e Libano, ma si punterà alla convivenza. Le minoranze da oltre confine e nelle varie diaspore (drusi, cristiani, armeni, ecc.), ovviamente osservano e sorvegliano, anche alla luce dei recenti attacchi a drusi e alawiti.

I raid di Israele nel Paese non sono mai cessati definitivamente, ma sono continuati colpendo anche vicino a Beirut, e i soldati israeliani occupano ancora delle postazioni nel sud. Il Libano riuscirà a ottenere il controllo completo di questa parte del suo territorio?

Questo dipende molto dall’evoluzione politica. Personalmente sono ottimista e credo che una soluzione pacifica sia raggiungibile e nell’interesse di tutti. Come dicevo sopra, il vero punto di svolta saranno le prossime legislative e il governo che ne uscirà. Aoun e Salman, presidente e primo ministro, hanno un’occasione storica per ricostruire il Paese su nuove basi; le loro azioni saranno sottoposte a voto popolare tra un anno circa. È importante che non deludano le aspettative, perché quella che hanno è un’occasione storica.

Come può agire la comunità internazionale per sostenere gli sforzi del Libano per rilanciarsi?

Serve aiutare il Paese dei Cedri nello “state building”: dalle riforme improntate a trasparenza e accountability nella pubblica amministrazione, al rafforzamento del sistema giudiziario, fino al funzionamento del bilancio dello Stato o della Banca centrale. Se le istituzioni si rafforzano, non ci sarà più spazio per eccessive influenze esterne e per la creazione di “stati nello Stato”. Con la diplomazia parlamentare come Pam, sempre pronti a fare la nostra parte.

(Paolo Rossetti)

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