Nella sfilata militare di piazza Tienanmen la Cina mostra la forza di un popolo coeso e ossessionato dall’autorità. Che punta a dominare il mondo
PECHINO – Il giorno dopo la grande parata di piazza Tienanmen per festeggiare l’80esimo anniversario della vittoria sul Giappone, la capitale cinese è ritornata alla normalità di una metropoli di 20 milioni di abitanti. Quello che ti colpisce a Pechino è comunque il relativo silenzio.
Con milioni di biciclette e motorini in circolazione, tutti elettrici, il silenzio è quasi surreale rispetto al volume del traffico che, riaperto il centro, è un’interrotta fiumana di veicoli. Quasi 40 anni fa a Canton, che adesso si chiama Guangzhou, assistetti dal balcone del mio hotel ad un ingorgo di biciclette di dimensioni bibliche e pensai: “Chissà quando questi qui avranno le auto”.
Ormai le hanno e ne producono a volontà, ma a Pechino il traffico è comunque scorrevole, anche perché quasi tutti i pechinesi vanno in metro (ci sono 28 linee di metropolitana mentre a Roma siamo sempre in attesa della linea C) o appunto in motorino.
Colpisce però l’assoluto rispetto delle regole nel traffico come nella vita. I cinesi sono ossessionati dall’autorità: basta un anziano con un bracciale a dare un ordine, figurarsi se a darlo è un poliziotto che in quanto tale ha una sua rigidità incredibile, dallo sguardo impassibile al movimento del corpo. Uno sguardo truce, severo, deciso; lo stesso, ed è la cosa che più mi ha colpito, che avevano i soldati durante la parata. Sguardi quasi allucinati, non solo attenti a segnare il passo, ma che apparivano sincronizzati anche negli occhi.
Perché la parata non è stata solo in piazza, e poi riprodotta all’infinito per ore da tutte le tv cinesi (oscurate quelle straniere per ogni evenienza), ma è stata vissuta in presa diretta in tutta la Cina.
I servizi dei TG hanno poi mostrato scolaresche plaudenti, tutti in piedi di fianco ai banchi di scuola, collegi militari con allievi immobili sull’attenti, perfino case di riposo con i ricoverati allineati davanti allo schermo e ripresi dalle telecamere. In piazza sfilavano missili e carri armati, ma la vera manifestazione collettiva era di un intero Paese che si ritrovava quelle immagini.
Eppure 80 anni fa, se vogliamo, era stata un’altra Cina a vincere, ovvero la Repubblica di Cina, che oggi è formalmente sopravvissuta solo a Taiwan dopo la sconfitta contro i comunisti di Mao nel 1949, quando 600mila soldati nazionalisti e 2 milioni di simpatizzanti fuggirono sull’isola.
Le conseguenze politiche del nuovo corso di Pechino hanno creato, tra l’altro, nuovi problemi a Taipei, dove temono primo o poi un’invasione della loro provincia ribelle, ma intanto si moltiplicano gli affari, i voli reciproci dal continente, le società miste.

Taiwan è una delle tante caselle del puzzle, ma il messaggio che il governo di Pechino ha voluto lanciare al mondo, sia con le celebrazioni militari che con il 25esimo meeting dello SCO, Shanghai Cooperation Organization, moltiplicato con i BRICS, è l’offerta ormai concreta di un’alternativa politica e commerciale al G7 e all’Occidente.
Più di un titolo in Italia ha commentato come provocazione, ricatto, minaccia questa sfida cinese al mondo, ma in fondo non è che la solita logica del più forte, che si è ormai insinuata tra Est e Occidente non più come un cuneo, ma come una solida realtà.
Certamente la Cina non raccoglie ancora la maggioranza del mondo dietro di sé, ma corre per raccoglierlo e lo fa alla luce del sole, almeno per chi vuole osservarne le dinamiche. Già oggi intercetta il dissenso globale cresciuto contro il vecchio continente, a cominciare dal mondo arabo ed africano.
Un’ostilità in parte anche giustificata, in parte costruita ad arte (per i cinesi per esempio sono stati gli USA a diffondere il virus del Covid e non viceversa), ma che sicuramente si basa sulla forza collettiva di un popolo numeroso, giovane, coeso, quasi cementato sia dalla politica cinese di vertice che dalla crescita economica, ma soprattutto da una storia imperiale millenaria, che nella sfilata militare di mercoledì trovava uno sfogo genuino di orgoglio nazionale ed autoreferenzialità.
Allora lo sguardo arcigno del poliziotto che immobile ti scruta all’incrocio della strada, seguendoti con gli occhi, le nuove armi cinesi o l’intraprendenza economica all’estero, basata spesso su un lavoro duro fatto di orgoglio e sacrificio, si sintetizzano in una volontà cinese che l’Occidente continua a minimizzare forse per la distanza o la convenienza.
Questo è un fondamentale errore strategico che rischia di diventare tragico se si arrivasse ad una crisi tra UE e USA, ma che si è già rivelato come tale nel momento in cui l’Occidente non è riuscito a trovare un accordo con la Russia, che negli ultimi anni si è girata proprio verso la Cina, cui può fornire quelle materie prime indispensabili per l’insaziabile appetito energetico cinese.
Teniamoci stretto il nostro prezioso sistema democratico, ma attenzione al prezzo che bisognerà prima o poi pagare a chi non lo applica e che quindi può intervenire, decidere, mobilitarsi, crescere senza riscontri e spesso senza rispetto dei diritti umani, nel giorno di una futura “resa dei conti”. Che speriamo non arrivi mai, ma che è uno scenario da non dimenticare o sottovalutare. Rischiamo davvero di essere la parte sconfitta.
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