I 5 Stelle paiono essere in cerca d’autore. Infatti sono almeno cinque, come le loro stelle, le anime del movimento. Le differenze di linea politiche sono, almeno dall’esterno, molto incerte; più chiare invece le cesure di divisione nella leadership.
C’è l’anima di Beppe Grillo, guru-nume tutelare, l’Elevato, forse stanco della sua creatura, non riuscita come voleva. Pur sempre essa resta figlia sua e da essa ne è gravato.
C’è Davide Casaleggio, che ha ereditato il Movimento come altri ereditano la casa dal padre. Per lui forse il futuro dell’azienda conta più di quello del Movimento. A lui si affianca, per ora, l’alternativa Di Battista.
C’è Giuseppe Conte, che deve vita e carriera al M5s ma che di questa eredità vorrebbe liberarsi per trasformarne almeno un pezzo in una cosa tutta sua.
C’è Luigi Di Maio, che con il Conte 1 era il leader del Movimento come e insieme a Matteo Salvini della Lega. Oggi senza il suo sodale, e in un ministero tanto prestigioso quanto difficile, arretra giorno dopo giorno. Quindi sogna di tornare al suo posto di un tempo, anche se non si sa come e quando.
C’è poi almeno il trio Crimi-Taverna-Fitto, misto di istituzionalismo e retorica popolar-plebea, in cui l’unica sicurezza pare essere l’insoddisfazione verso chiunque delle altre quattro anime movimentistiche.
L’alleanza con il Pd sembra la fine naturale di tutte queste anime. In esse potrebbero domani trovare una consistenza. Ma del resto la vecchia ossatura comunista del Pd ha stritolato ben altri neo-aderenti, e molti movimentisti temono che, disorganizzati e impreparati, sarebbero divorati dagli apparati Pd, e questo porterebbe poi alla fine al crollo dei voti.
Inoltre incombono le ombre degli scandali. Ci sono quelli più oscuri e minacciosi, come la storia dei soldi del Venezuela di Maduro al Movimento. Lo M5s lottò contro le sanzioni a Caracas quando il resto dell’occidente le voleva. Fu politica o interessi più bassi? Potrebbero arrivare nuove rivelazioni, nuove accuse, che già da sole incrinerebbero lo spirito “duro e puro” del Movimento.
Infine ci sono le storie più banali, ma anche più ruvide di corruzione: nuovo potere, nuovi privilegi, auto blu, pasti della Buvette con lo sconto.
In questo Il Fatto Quotidiano, che sembra voler stare a M5s come Repubblica stava al Pci, cerca di fare argine. Ma il Fatto, come anche la vecchia Repubblica, sono giornali che funzionano bene in attacco, molto meno in difesa. Così questo patrocinio rischia di non salvare il Movimento e dannare il quotidiano.
In questa confusione potrebbe non succedere niente, come potrebbe saltare tutto fra due minuti. Infatti, visti i numeri risicatissimi della maggioranza, basterebbe una pattuglia che insieme o alla spicciolata emigrasse da qualche altra parte.
Il fatto che la Lega non abbia cominciato una campagna acquisti tra possibili transfughi M5s, dimostra che oggi Salvini, al di là di ogni retorica, non vuole andare al voto.
Salvini diventa così, come era il Pci in certi governi Dc del passato, l’appoggio esterno più importante di quello interno alla maggioranza. La cosa però potrebbe avvitarsi e far perdere troppi consensi alla Lega.
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