Ieri la Federal Reserve ha deciso di tagliare ancora i tassi di interesse. Ora bisognerà vedere cosa deciderà di fare la Bce
Un futuro incerto in uno scenario complicato. È in questa prospettiva che il Federal Open Market Committee (Fomc), l’organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, ha deciso, con nove voti a favore e tre contrari, di tagliare i tassi d’interesse di 25 punti base al 3,50%-3,75%, come previsto dalla maggioranza degli analisti. Si tratta del terzo taglio consecutivo quest’anno. Ma del domani non c’è certezza e anche nella Banca centrale americana sembrano prevalere più gli auspici che le previsioni positive.
Il taglio dei tassi risponde a tre esigenze contrapposte. In primo luogo, se non avesse deciso come ha deciso la Fed avrebbe dato ai mercati un segnale di vero e proprio pericolo per l’andamento futuro sia dell’inflazione, sia del mercato del lavoro. In secondo luogo, il taglio ha voluto essere un segnale di ottimismo, e infatti Jerome Powell ha escluso nella sua conferenza stampa che vi possa essere una prospettiva per il 2026 di un’inversione di tendenza nella politica monetaria.
Il terzo elemento è la volontà di dare un’indicazione di cautela per i prossimi mesi dato che a maggio vi sarà il passaggio delle consegne tra Powell e un nuovo capo della Fed che sarà indiscutibilmente un uomo molto vicino al Presidente Donald Trump.
Non a caso proprio nei giorni scorsi il consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, considerato in prima fila tra i possibili successori di Powell, ha sostenuto che c’è ancora ampio margine per abbassare i tassi americani in modo significativo. Una dichiarazione che ha sicuramente soddisfatto la Casa Bianca, ma ha suscitato qualche perplessità sulla possibilità di mantenere l’indipendenza della Banca centrale rispetto a un potere politico esuberante come quello attuale.

Intanto, tuttavia, l’attenzione si sposta ai dati dell’economia reale. Dati, che ancorché ancora parziali per il lungo blocco degli uffici pubblici, dimostrano finora una sostanziale ripresa dell’economia con un Pil che dovrebbe crescere fino al 2,3% l’anno prossimo, quasi mezzo punto in più rispetto alle previsioni formulate a settembre. Qualche problema potrebbe venire dalla disoccupazione che non dovrebbe subire grandi spostamenti e viene data al 4,4% nel 2026 (come a settembre), al 4,2% nel 2027 (dal 4,3%), e nel 2028. Dal canto suo l’inflazione dovrebbe calare al 2,4% nel 2026, al 2,1% nel 2027 e al 2% nel 2028.
Su queste previsioni pesano tuttavia le incognite legate agli effetti che potranno derivare dal progressivo inserimento dell’intelligenza artificiale nella dimensione produttiva. Con due aspetti particolari: 1) l’aumento della produttività che potrebbe portare a dare nuovi spunti per la crescita economica; 2) la diminuzione dei costi per le imprese potrà avere effetti positivi, anche se ancora difficili da valutare, sulla dinamica dell’inflazione.
Una piccola sorpresa è venuta dalla sottolineatura della Fed sulla decisione di avviare «acquisti di titoli del Tesoro a breve termine, quando necessario, per mantenere in modo continuativo un’ampia disponibilità di riserve», dopo le recenti flessioni. Un segnale di possibili tensioni sul fronte bancario.
A questo punto che cosa farà la Bce? A Francoforte devono guardare due fronti contrapposti. Da una parte gli Stati Uniti che vanno per la loro strada pilotando il dollaro a perdere valore amplificando gli effetti dell’aggressiva politica dei dazi dell’Amministrazione americana. Dall’altra la Cina che ha già dirottato verso il Vecchio continente almeno una parte della capacità produttiva penalizzata dai dazi americani.
L’economia europea marcia molto più lentamente di quella Usa anche perché le applicazioni più innovative dell’intelligenza artificiale sono frenate da un quadro normativo prudente e in parte penalizzante. In queste condizioni è difficile pensare che la Bce tenga a lungo i tassi fermi rinunciando ai possibili stimoli alla crescita in uno scenario di inflazione controllato anche per la rivalutazione di fatto della moneta unica.
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