In Siria continuano i crimini e i soprusi ai danni degli alawiti. Parla il vescovo di H's: l'Occidente deve essere più esigente verso al Sharaa
Un beduino e sua moglie vengono uccisi e subito gli appartenenti alla stessa etnia si vendicano sugli alawiti. Anche se in realtà non c’entrano niente. Per questo a Homs è stata presa di mira una zona della città distruggendo negozi, case, automobili, senza che la polizia intervenisse a tempo debito. Una devastazione inaudita, resa ancora più incomprensibile dalla circostanza che il gruppo etnico che era stato indicato come responsabile di un duplice omicidio non aveva niente a che fare con quello che è successo. Anzi, in questa come in altre occasioni ha pagato lo scotto di essere lo stesso gruppo a cui appartiene anche l’ex dittatore Assad, ora in esilio in Russia.
Nella zona, d’altra parte, racconta mons. Jacques Mourad, arcivescovo di Homs, girano molte armi e gli episodi di violenza, anche grave, si sprecano: solo nell’anno in corso sarebbero state uccise più di 380 persone. Un fenomeno che fa suonare un campanello di allarme sulla Siria di HTS e del presidente al Sharaa: l’Occidente che le dà credito non si accorge di quello che sta succedendo, invece, almeno in alcune città, dove non c’è nessuna sicurezza.
La violenza segna sempre di più la vita quotidiana della Siria: a Homs un intero quartiere è stato preso d’assalto da un gruppo di beduini. Cosa è successo?
È andata così: un beduino ha ucciso un altro beduino e sua moglie, per reazione gruppi di persone che fanno parte di queste tribù hanno terrorizzato un intero quartiere, perché pensavano che il vero responsabile dell’omicidio fosse un alawita, mentre così non era. Ormai sembra quasi che tutto quello che succede sia addebitabile agli alawiti. I poliziotti sono arrivati solamente dopo le devastazioni, quando i beduini avevano già bruciato delle macchine, delle case, distruggendo anche dei negozi. Veramente terribile.
Queste violenze sono dirette anche contro i cristiani?
Non ci sono cristiani tra le persone prese di mira, ma è stata bruciata la macchina di un sacerdote della chiesa della Madonna della luce, nel quartiere Arman.
Come mai la polizia è arrivata solo dopo le devastazioni? Gli agenti non sono riusciti a fermare i teppisti o c’è il dubbio che non volessero intervenire?
Mi è difficile distinguere, però succede sempre così: quando questi gruppi armati entrano in azione, i poliziotti lasciano correre e poi arrivano quando le cose ormai sono finite. Non è la prima volta che succede, per questo ho l’impressione che le forze dell’ordine abbiano a che fare con i beduini.
I beduini sostengono il governo di al Sharaa?
Certo, sono gli stessi responsabili dei massacri di Sweda nei mesi scorsi.
Secondo le statistiche, dall’inizio dell’anno nella zona di Homs sono state uccise 381 persone. La violenza nella regione è così dilagante?

Qui c’è un gravissimo problema di sicurezza e la situazione è sempre peggio. Ogni giorno ci sono una, due o tre persone uccise. Non è come in altre grandi città, a Damasco per esempio. Ad Aleppo non si vedono persone che girano con le armi tenendole sulle auto e sui motorini. Tanti a Homs, invece, lo fanno: succede solo qui.
Ma chi sono queste persone?
Alcuni di loro fanno parte delle tribù beduine, altri, invece, sono parte della polizia. Ad Aleppo e Damasco ci sono i poliziotti, ma non portano armi nelle strade. Abbiamo provato a chiedere ragione di questa situazione alle autorità, ci hanno risposto che a differenza di altri centri qui ci sono molti alleati del regime di Assad e quindi le forze dell’ordine rischiano sempre.
Il riferimento è ancora agli alawiti: ma sono davvero così pericolosi?
Danno delle giustificazioni che non hanno senso, perché gli alawiti non hanno armi, quelle che erano nelle loro mani sono già state prese.
La Siria che in Occidente viene presentata come un Paese che si sta riprendendo, che sta cercando di garantire un futuro a tutti, in realtà ha gli stessi problemi di prima?
È un Paese che ha tanti problemi, quello dell’economia, della povertà della gente, del lavoro che manca. E tutti rimandano all’azione del governo. Io ho detto alle autorità che sono responsabili per il bene del popolo e se il governo non è capace di assicurare alla gente una vita degna di questo nome, vuol dire che a sua volta non è degno di rimanere al potere. Bisogna far capire ai governi stranieri che sostengono questo regime, questo presidente, che non sono nel giusto, devono essere più esigenti nei confronti di al Sharaa.
(Paolo Rossetti)
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