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Home » Sanità, salute e benessere » DALLA TERAPIA INTENSIVA/ “L’alleanza terapeutica tra pazienti aiuta i casi più gravi”

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DALLA TERAPIA INTENSIVA/ “L’alleanza terapeutica tra pazienti aiuta i casi più gravi”

Pubblicato 11 Marzo 2021 - Aggiornato alle ore 06:48
(LaPresse)

(LaPresse)

La Lombardia è investita da una nuova ondata di Covid, tanto che devono riaprire i reparti di terapia intensiva chiusi solo un mese fa. Medici e pazienti come vivono questa nuova emergenza?

Abbassare la guardia solo perché cambiava il colore della regione di appartenenza è stato l’errore più grave che si potesse fare. Lo dicono medici e personale sanitario di città come Como e Varese, e lo potrebbero dire di qualunque altra città lombarda, da Milano a Brescia, a Mantova. I numeri parlano chiaro: 505 nuovi casi a Milano, 275 a Bergamo, 729 a Brescia, 313 a Como, 563 a Varese. “Sono numeri in costante aumento da una decina di giorni”, ci ha confidato la dottoressa Caterina Potenzoni, medico anestesista presso l’Ospedale di Circolo Fondazione Macchi a Varese, “che ci hanno costretto a riaprire reparti di terapia intensiva che avevamo chiuso giusto un mese fa. Si è anche abbassata l’età media dei ricoverati”.


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Com’è la situazione nel vostro ospedale? Siete davanti a una recrudescenza dei ricoveri, come succede un po’ dappertutto?

Sì, siamo alle prese con un amento netto dei ricoveri, che ci ha costretti a  una riorganizzazione dei turni.

Anche in terapia intensiva?

Sì. Come richiesto dalla Regione sono stati riaperti i reparti di terapia intensiva che erano stati chiusi non più di un mese fa.


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Sappiamo che la colpa principale ricade sulla variante inglese, ma molti professionisti del settore sanitario danno la colpa al comportamento delle persone, agli assembramenti. Lei che idea si è fatta?

Non so a cosa si possa imputare esattamente questo aumento, ma è chiaro che abbassare la guardia non è servito e non serve. Bisogna rispettare ogni misura di sicurezza, esattamente come un anno fa.

I pazienti di questa nuova ondata sono sempre anziani?

Purtroppo no, abbiamo tante persone più giovani rispetto alle precedenti ondate. L’età media si è abbassata, si tratta comunque sempre di pazienti con caratteristiche tipiche, come l’obesità, l’ipertensione, patologie cardiovascolari. Insomma, le comorbidità associate al Covid in grado di rendere più fragili all’infezione. Raramente sono persone sane, si tratta di casi sporadici.


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Il personale sanitario è di nuovo sotto stress?

Abbastanza. E’ una fase difficile, sia per i medici che gli infermieri, facciamo proprio fatica. Rispetto alla prima ondata, che era qualcosa che non si conosceva e nella quale ci siamo buttati con ogni energia, adesso arriviamo con un anno vissuto intensamente, e questo cambia le persone. Si va a pescare nuova forza altrove, però un anno vissuto così pesa tanto.

Anche i pazienti colpiti adesso, dopo che sembrava tutto quasi finito, saranno particolarmente spaventati, è così?

Sì, volente o nolente, ciascuno è venuto a conoscenza di persone ammalate, sa che cosa potrebbe succedergli, c’è maggior consapevolezza. Fortunatamente però si assiste ancora oggi a quella che io chiamo “alleanza terapeutica”.


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Di che si tratta?

Nelle stanze si vede il paziente che sta un po’ meglio che controlla e sostiene il vicino di letto, in un clima di sostegno psicologico che nel caso di malattie gravi è molto importante.

State assistendo a una crescita destinata ad arrivare a un picco, che speriamo arrivi presto?

Siamo senza dubbio in piena fase di crescita. Rispetto a dieci giorni  fa l’aumento dei casi è costante.

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