Google permette di usare l’intelligenza artificiale ai minori di 13 anni. Ma nessuno si preoccupa dei danni causati su di loro dalle nuove tecnologie
É una conferma in più, se mai ce ne fosse bisogno, che siamo di fronte ad un ennesimo cambiamento epocale, ricco di contrasti e contraddizioni, questa volta nel campo della tecno-educazione. Da un lato si chiedono regole e norme più rigide nell’uso dello smartphone a scuola e dall’altro si propone di abbassare l’età per l’accesso dei minori all’IA. In Emilia Romagna è atteso nei prossimi giorni un importante convegno per analizzare un fatto dai contorni chiari e netti: in 13 anni sono cresciuti del 183% i ricoveri in neuropsichiatria infantile e l’imputato principale sembra essere lo smartphone, per cui si chiede una legge ad hoc.
A Bologna sono attesi psicologi, pedagogisti, docenti e genitori, ma con loro sono stati invitati anche i diretti interessati: gli adolescenti, nel ruolo di protagonisti anche se potenzialmente vittime dell’uso e dell’abuso degli smartphone. Obiettivo spingere lo Stato a vietare i telefonini a scuola e sotto una certa età! Il rapporto tra smartphone e IA si sta facendo sempre più stretto e quindi cresce la polemica tra quanti invece vorrebbero aprire l’accesso all’IA proprio a loro.
Il New York Times ha recentemente annunciato che dalla prossima settimana anche i minori di 13 anni potranno interagire con Gemini durante la loro navigazione su Google, a patto che i bambini abbiano un account supervisionato da genitori e tutori attraverso la funzione di ‘Family Link‘. Google ha inviato una e-mail a tutti i genitori, investendoli della grande responsabilità di supervisione, spiegando che l’IA servirà loro a “fare domande, ricevere aiuto con i compiti e inventare storie”, nel pieno rispetto della privacy online dei minori. L’impegno è quello di non utilizzare i dati forniti dai minori per addestrare l’IA e di impedire al chatbot di produrre contenuti non sicuri.
Promesse molto impegnative e non del tutto credibili! Difficile immaginare che Google non addestri programmi per adolescenti senza nutrirsi dei loro interessi, delle loro curiosità e delle loro esigenze. E sul piano didattico difficile capire come potranno aiutare i ragazzi a fare i compiti senza sostituirsi a loro, come già accade abbondantemente anche oggi.
Per questo è importare sottolineare una volta di più come l’apprendimento automatico si basa su inferenze statistiche piuttosto che su deduzioni logiche. Analizzando grandi insiemi di dati con lo scopo di identificarvi degli schemi, l’intelligenza artificiale può predirne gli effetti e proporre nuovi percorsi di indagine, imitando alcuni processi cognitivi, tipici della capacità umana di risoluzione dei problemi. Alla base di questi come di molti altri punti di vista sull’AI c’è l’idea che la parola intelligenza vada usata allo stesso modo sia in riferimento alla intelligenza umana che all’intelligenza artificiale.
Ma ciò non riflette la reale portata del concetto per quanto riguarda l’uomo: intelligenza è infatti una facoltà relativa alla persona nella sua integralità, mentre nel contesto dell’intelligenza artificiale è intesa in senso funzionale. Quando si parla di comportamenti nel caso dell’intelligenza artificiale ci si riferisce a compiti intellettuali specifici, che non tengono conto dell’esperienza umana in tutta la sua ampiezza che comprende sia le capacità di astrazione che le emozioni, la creatività, il senso estetico, morale e religioso, né abbraccia tutta la varietà delle manifestazioni di cui è capace la mente umana, per cui nel caso dell’intelligenza artificiale l’intelligenza è valutata in modo necessariamente riduttivo.
Le sue caratteristiche conferiscono all’intelligenza artificiale sofisticate capacità di eseguire compiti, ma non quella di pensare: una tale distinzione è di importanza decisiva, perché il modo con cui si definisce l’intelligenza va inevitabilmente a delimitare la comprensione del rapporto che intercorre tra lei e il pensiero umano, anche sotto il profilo didattico ed educativo.
L’educazione non è un semplice processo di trasmissione di conoscenze e competenze, per essere tale la formazione soprattutto negli anni della adolescenza deve piuttosto contribuire alla formazione integrale della persona nelle sue diverse dimensioni intellettuali culturali spirituali, inclusa, ad esempio la vita di relazioni, la complessa rete dei rapporti umani, la dimensione affettiva ed emotiva.
Questo approccio implica un impegno a formare la mente come parte dello sviluppo integrale della persona attraverso l’indispensabile relazione tra insegnante e studente e tra studenti: compagni e insegnanti sono modelli delle principali qualità umane e ispiratori della gioia della scoperta. La loro presenza motiva gli studenti sia attraverso i contenuti che apprendono insieme ai loro coetanei sia attraverso l’attenzione che i docenti mostrano nei loro confronti. Questo legame favorisce la fiducia, la comprensione reciproca, la capacità di rivolgersi alla reciproca dignità e al potenziale di ciascuno.
La presenza fisica dell’insegnante, crea una dinamica relazionale che l’intelligenza artificiale non può replicare una dinamica che approfondisce l’impegno e alimenta lo sviluppo integrale dello studente. In questo contesto l’intelligenza artificiale presenta sia opportunità che sfide. Se usata in maniera prudente all’interno di una reale relazione tra insegnante studente e ordinata agli scopi autentici dell’educazione, essa può diventare una preziosa risorsa educativa migliorando l’accesso all’istruzione e offrendo un supporto personalizzato e riscontri immediati agli studenti.
D’altra parte, compito essenziale dell’educazione è formare l’intelletto a ragionare bene a protendersi verso la verità e ad afferrarla, aiutando il linguaggio della testa a crescere in armonia con il linguaggio del cuore. Tutto ciò poi è ancora più vitale in un’epoca segnata dalla tecnologia in cui non si tratta più soltanto di usare strumenti di comunicazione ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata, che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio sulla percezione di sé degli altri e del mondo, sul modo di comunicare di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri.
L’educazione dovrebbe promuovere una vera libertà responsabile che nei momenti cruciali aiuti a decidere in modo personale, in sintonia con la propria coscienza.
È necessario che soprattutto i giovani sviluppino una capacità di discernimento nell’uso dei dati e contenuti raccolti sul web prodotti da sistemi di intelligenza artificiale. le scuole, le università e le società scientifiche dovrebbero aiutare gli studenti a fare propri gli aspetti sociali ed etici dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia, cominciando fin dalle prime fasi…
Gli attuali programmi di intelligenza artificiale possono fornire informazioni distorte o artefatte, inducendo gli studenti ad affidarsi a contenuti inesatti in questo modo non solo si corre il rischio di legittimare delle fake news a vantaggio di una cultura dominante, minando il processo educativo nel suo fondamento.
L’intelligenza artificiale deve diventare un sostegno alla dignità della persona umana se impariamo ad usarla come un supporto nella comprensione dei fatti complessi.
Esiste anche un rischio reale che l’intelligenza artificiale generi contenuti manipolati informazioni false difficili da distinguere dai dati reali e possono facilmente trarre in inganno. Le conseguenze di false informazioni possono essere assai gravi.
Già oggi impattiamo sul malessere creato a ragazzi esposti sul web a false immagini, ad una manipolazione della loro identità, divenuta facilmente oggetto di bullismo. Le conseguenze di una ridicolizzazione anonima ed invasiva possono essere spietate.
C’è quindi un uso eccessivamente precoce degli smartphone che nuoce gravemente alla salute come confermano dati recenti della NPI: generanno ansia e depressione; violenza e aggressività; disturbi dell’identità a cominciare dal sé corporeo, con un rifiuto della propria immagine e una lunga sequenza di disturbi alimentari…
Ci sono docenti che registrano con una intensità e una frequenza crescente disturbi dell’attenzione dell’apprendimento; c’è una fuga dalla realtà che spinge a chiudersi in camera con il proprio pc, con una fatica estrema a farsi degli amici, a fidarsi dei propri compagni; mille scenari problematici di cui non si può però considerare lo smartphone come il colpevole unico e incontrastato. I contenuti di violenza e di aggressività, le storie di guerra, la prepotenza come sinonimo di vittoria… la solitudine per cui non si riesce a parlare di ciò che ci colpisce e ci ferisce! Tutto contribuisce a creare uno scenario distopico in cui si ha paura di vivere.
É la diade smartphone -soggetto in una bolla di solitudine che è davvero pericolosa. E genera la falsa speranza che l’Intelligenza artificiale possa romperla o compensarla. Ma si tratta di una intelligenza riduttiva, povera di umanità. Artificiale: senza affetti ed emozioni, senza relazioni e senza maestri, è proprio perciò senza compagni con cui condividere la realtà. Gli strumenti diventano dei fini e rivelano la loro estrema povertà; ciò che realmente si genera è una pericolosa autoreferenzialita, le cui conseguenze generano un profondo malessere psicologico, con disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento ne fanno sentire sempre più stranieri in una realtà sfuggente, che a volte appare inafferrabile.
Ecco allora che lo smartphone va bene quando c’è dialogo reale, sport, vita di classe intensa e piena di calore; quando si parla insieme a tavola o giocando e lo strumento iconico serve per le emergenze e qualcuno ti aiuta ad usarlo.
Dalla grammatica dello smartphone al suo galateo! E l’IA serve solo quando ho prima messo in gioco la mia, per capire fin dove posso arrivare… non serve a fare ciò che io sono capace di fare e comunque serve solo se io sono capace di guidarla, di correggerla, di valutarla, con senso critico, perché io valgo di più e la mia intelligenza sa comprendere le persone, sa amare , sa collaborare con amici e colleghi… è intelligenza del reale perché lei stessa è reale e sa bene che il reale non è solo razionale, ma vale molto dí più. Per questo ha bisogno di sperimentare la realtà e sperimentarsi nella realtà.
Non basta che Google per aprire l’IA ai tredicenni chieda il permesso ai genitori… ciò che conta è l’intensità del rapporto degli adolescenti con i genitori, la capacità di condividere lo sguardo sulle cose, di non essere soli, e di non sentirsi soli, chiusi nella bolla speculativa di chi non sa neppure dove stia di casa la realtà, perché si è trincerato in un mondo artificiale.
Amazon, Microsoft e Google hanno già pagato multe multimilionarie a seguito di denunce governative in base a cui avrebbero violato il Children’s Online Privacy Protection Act, legge federale che impone ai big tecnologici di ottenere il permesso dei genitori prima di registrare informazioni personali come l’indirizzo di casa o un selfie.
Google garantisce misure di sicurezza ulteriori: i dati generati dai minorenni non verranno utilizzati per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale. Ma la scorsa settimana un’organizzazione Usa di supporto alle famiglie, Common Sense Media, ha pubblicato un report secondo cui i chatbot IA “incoraggiano comportamenti dannosi, forniscono contenuti inappropriati e potenzialmente aggravano i problemi di salute mentale.
Il rischio c’è tutto per gli adolescenti, a 360 gradi, contenerlo non è facile e a 13 anni può essere davvero troppo difficile. Occorre insegnare ed imparare a gestire l’IA ma per essere certi di riuscirci occorre essere sicuri che la intelligenza umana di chi intende servirsene abbia raggiunto un buon livello di sviluppo umano : completo, concreto, critico.
