L’Intelligenza Artificiale (AI) a scuola c’è già da molto tempo, visto che le piattaforme ministeriali e anche molti materiali didattici di tipo ingegneristico nascono proprio dall’interazione con l’AI. Quello che però nessuno si aspettava era l’ingresso (a fine 2022) dell’Intelligenza Artificiale Generativa dentro gli studi umanistici e quelli artistici. Si è assistito ad un duplice fenomeno: la velocità di cambio del paradigma linguistico (in un attimo posso avere un testo che dovrei redigere in svariate ore di lavoro); l’inattesa introduzione di una macchina efficiente nel mondo scolastico, che cerca da sempre di combattere le copiature e tutto quanto possa aiutare lo studente a non produrre tutto con la sua testa e la sua memoria.
Poiché però tutte le novità che nascono nella società civile producono sempre enormi difficoltà nella scuola, non sarebbe una brutta cosa se, per una volta, le scuole non cercassero di regolamentare una realtà che sfugge di mano ad una velocità inattesa. Si dice che “gli americani inventano, i cinesi copiano e gli europei regolamentano”; io parafraserei così: “la società inventa, gli studenti copiano, gli insegnanti regolamentano”. Tutto questo con l’AI non ha vita lunga: la lentezza della regolamentazione si sposa con l’impossibilità di controllare quotidianamente il rispetto di quanto regolamentato.
Direi che è necessario prendere atto che l’apprendimento informale (tutto il digitale, compresa l’AI, produce un apprendimento informale molto potente e molto invasivo) sta incidendo in maniera consistente sulle strutture di apprendimento degli studenti e sta coprendo l’impatto del formale (ciò che si impara direttamente a scuola) e del non formale (ciò che si impara da soggetti strutturati al di fuori della scuola e che riguarda soprattutto musica, inglese, sport) nello studio. Affrontare questa sfida con discussioni e regolamenti che nel piccolo ripetono quello che già aziende multinazionali e organismi europei e mondiali stanno codificando rischia di essere solo una grande perdita di tempo.
Poiché nella scuola non c’è sull’AI una direzione ministeriale, né dei singoli istituti, allora forse è meglio non perdere tempo a regolamentare e a controllare, ma piuttosto cercare di spingere gli insegnanti verso sperimentazioni e ricerca-azione. Quindi bisogna de-regolamentare, affinché chi vuole sperimentare e ragionare su questa grande novità lo possa fare senza cadere nella grande burocrazia (che piace a moltissimi dirigenti) dei documenti progettuali che nessuno legge.
L’AI Generativa non si può combattere e neppure accettare a scatola chiusa. L’unica strada possibile è quella della ricerca e della sperimentazione, ma queste sono due strade che non piacciono più molto alle scuole, orientate come sono a regolamentare e a mantenere intatte organizzazioni che ormai vengono da troppo lontano. Io credo che nella scuola ci sia un problema di “ingegneria”: cioè, di imparare a collegare i saperi tra loro e di imparare a cogliere le occasioni inserendole dentro sistemi di dati certi e condivisi.
Pertanto, penso che la direzione sull’uso dell’AI a fini didattici (che non c’è, né la prima né la seconda) dovrebbe essere quella di aumentare il dibattito interno, contaminare i curricoli, comprendere come l’innovazione può entrare nella didattica formale arricchendola e non limitandola. Così, forse, si metterà fine al “grande imbroglio” delle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), laddove della terza gamba dell’acronimo (Engineering) a scuola proprio non si parla mai. È proprio l’ingegneria, intesa in senso estremamente aperto, che può aiutare le scuole a trovare il punto di contatto con l’AI.
La paura è che la velocità con cui l’innovazione tecnologica sta procedendo vada a cozzare contro i tempi infiniti di organi collegiali pensati negli Anni Settanta del secolo scorso e quindi veramente arcaici nei modi, negli scopi, nei tempi di lavoro. Una grossa responsabilità nei confronti dell’AI Generativa e nell’uso di tutto il digitale la avranno gli insegnanti di italiano, che devono decidere se arroccarsi sulle loro posizioni o comprendere come la lettura e la scrittura sono cambiate e come ci troviamo improvvisamente davanti ad una rivoluzione della portata di quella che prende il nome da Gutenberg.
Questa quinta rivoluzione informatica si sviluppa in maniera inarrestabile e potente a distanza temporale molto piccola rispetto non solo alla quarta (la connettività mobile), ma anche rispetto alle altre tre (avvento e proliferazione del personal computer; espansione di Internet; avvento dei social media). Ha tempi, modi e velocità che la scuola non riesce a sostenere: proprio per questo bisogna cambiare il paradigma dell’organizzazione scolastica, per far uscire la scuola dalle secche di un tradizionalismo che la sta indebolendo sempre più.
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