Le restrizioni cinesi all'export di terre rare hanno provocato la reazione degli Usa con nuovi dazi da parte di Trump
Un messaggio di Trump consegnato via social ieri ha mandato in rosso i mercati. Alle cinque del pomeriggio italiane il Presidente americano ha infatti comunicato che gli Stati Uniti avrebbero valutato sensibili aumenti dei dazi contro i prodotti cinesi e altre contromisure in una nuova puntata della guerra commerciale iniziata ad aprile. A mercati chiusi è arrivato l’annuncio di una extra tariffa Usa del 100% sulle merci cinesi.
Il motivo del contendere è la decisione cinese di imporre controlli e limiti alle esportazioni di terre rare da cui dipende la produzione di prodotti tecnologici di largo consumo: televisioni, microchip, cellulari, motori elettrici e turbine eoliche, dispositive per le risonanze magnetiche, monitor oltre che componenti per aviazione e difesa. La Cina controlla circa il 70% dell’estrazione globale di terre rare, il 90% della loro lavorazione e oltre il 90% della produzione di magneti. La Cina è in una condizione di monopolista che non è in discussione e che viene definita come tale anche dal Presidente americano nel messaggio di ieri.
Il controllo alle esportazioni di terre rare che minaccia di “inceppare i mercati”, per usare le parole di Trump, è l’arma negoziale che la Cina ha deciso di usare dopo i dazi introdotti dagli Stati Uniti ad aprile. Non potendo la Cina trovare da nessuna parte un compratore per i propri prodotti tanto buono e tanto grande come l’America, decide di fare leva sulla leadership tecnologica raggiunta in alcuni settori chiave.
L’incontro tra Trump e Xi programmato in Corea tra due settimane viene quindi cancellato dal Presidente americano perché “non c’è ragione di farlo”. L’inquilino della Casa Bianca non minaccia solo una nuova tornata di dazi, ma di far leva sulle posizioni di monopolio su cui possono contare gli Stati Uniti. È possibile che ci si riferisca alla presa americana sui sistemi di pagamento e i flussi finanziari.
La guerra commerciale tra le due superpotenze coinvolge gli altri attori globali indipendentemente dalla loro volontà di partecipare. Gli Stati Uniti condizionano la stipula di accordi commerciali di libero scambio a impegni “anti-cinesi”; i prodotti cinesi che non arrivano più in America invadono il resto dei mercati. In entrambi i casi l’Europa è il luogo che subisce maggiormente le pressioni politiche americane e il flusso di esportazioni cinesi. Le guerre commerciali e la militarizzazione di alcune posizioni di forza economiche rendono i flussi di beni molto più precari.
È notizia di ieri, per esempio, la decisione del Brasile di riattivare tre impianti di produzione di fertilizzanti, tramite il gas, per rendersi più indipendenti su una risorsa così strategica e per mere ragioni di “sicurezza”, in questo caso alimentare.
Si passa così da un mondo in cui si sceglieva sulla base di quello che si voleva fare, sulla base di calcoli economici o preferenze ambientali, a un mondo in cui si sceglie sulla base di quello che si può o si deve fare. Per ricreare catene di forniture alternative alla Cina sulle terre rare servono infatti anni; non meno di cinque anche ipotizzando un ruolo da protagonista per lo Stato.
La scelta americana di abbandonare il green non è solo un calcolo economico per evitare di ricreare da zero un sistema energetico basato sui metalli anziché sugli idrocarburi. È una scelta politica per evitare di “fossilizzare” il sistema su una tecnologia che non si controlla in un’ottica di sovranità reale.
L’America ha già iniziato il percorso di affrancamento dalla Cina acquisendo partecipazioni dirette in società attive nel settore delle terre rare; per completare il processo bisognerà aspettare la prima metà del prossimo decennio. Gli unici che sembrano non capire o non voler capire la nuova direzione del mondo sono gli europei.
Ipotizzare una catena di fornitura europea per le auto elettriche prima del 2035, quando avverrà lo stop al motore termico, per esempio è un’utopia per tante ragioni. Una è fisica per il tempo necessario alle miniere e agli impianti di lavorazione e un’altra è politica per gli sviluppi delle relazioni tra Stati.
Il mancato accordo tra Cina e Stati Uniti e la rottura delle catene di fornitura e dei flussi finanziari non possono lasciare indifferente gli investitori. Non c’è stampa di moneta che possa sostituire una miniera o un cellulare. A queste evoluzioni si reagisce con soluzioni autarchiche e privilegiando non quello che si vorrebbe, ma quello che si ha o si può avere.
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