Trump ha proposto una riduzione dei dazi alla Cina all'80%. Ciò non cambierebbe lo scenario di lungo termine per l'economia americana
Ieri il Presidente americano ha chiesto al segretario del Tesoro Bessent di abbassare i dazi contro la Cina all’80% dall’attuale 125%; a breve sapremo se la richiesta sarà accolta e poi se ne seguiranno altre. Le due esenzioni che finora erano state concesse, quelle sull’elettronica e la componentistica auto, hanno lasciato un’ampia fetta di importazioni cinesi sotto un embargo di fatto.
Appena una settimana fa Trump aveva spiegato che il prossimo Natale i bambini americani si sarebbero dovuti accontentare di “due bambole invece delle solite trenta”. L’avvertimento scaturiva dalle caratteristiche del settore dei giocattoli in America; il mercato è dominato dalla Cina, con una quota che si stima arrivi all’ 80%, e proprio in queste settimane vengono finalizzati gli ordini per la prossima stagione natalizia. Quello dei giocattoli è uno dei tanti esempi che si possono fare perché altri settori, come quello degli attrezzi piuttosto che delle scarpe o dell’abbigliamento di fascia bassa, oggi sono dominati dalla Cina.
L’embargo di oggi non può non avere un effetto sui prezzi e non può non avere conseguenze per la disponibilità dei beni anche ammettendo che i concorrenti della Cina decidano immediatamente di aumentare la produzione. Più passa il tempo e più alti sono i dazi, più le conseguenze sono pervasive. La riduzione dei dazi all’80% rimetterebbe in gioco una parte delle importazioni cinesi e un’ulteriore riduzione al 50% limiterebbe di molto le conseguenze. Più i dazi scendono, infatti, più diventa facile per i clienti assorbire i rincari e per i produttori i costi. Il segnale di Trump è comunque significativo perché traccia uno sviluppo meno traumatico.
Ci sono comunque alcuni punti da sottolineare. Il primo riguarda i danni che l’embargo di queste sei settimane ha già prodotto sia sul settore della logistica che sulle scorte dei distributori americani e in particolare di quelli di fascia più bassa. Sono valutazioni complicate perché il sistema è entrato nella guerra commerciale con un livello di scorte molto alto, perché ogni settore ha le proprie dinamiche e perché all’interno del singolo segmento si può distinguere tra fascia alta e basse.
Il secondo è quale livello di dazi rimarrà dopo gli aggiustamenti di queste settimane. Alcune importazioni sono immediatamente rientrate perché esentate dai dazi, altre probabilmente rientreranno con l’abbassamento delle tariffe, altre infine saranno condannate con il tempo a essere sostituite.
Questi primi due punti sono fondamentali per capire l’impatto sull’economia americana nei prossimi due/tre trimestri sia in termini di crescita che di inflazione.
L’ultimo punto è la prospettiva. Si può assumere che tutto possa tornare gradualmente a prima del “liberation day” magari dopo qualche contraccolpo. Lo scenario più probabile è che si stia invece assistendo a una calibratura, nel tempo e nella dimensione, di un processo che continua e che porta al disaccoppiamento tra economia americana e cinese e nel medio lungo periodo a quello delle rispettive sfere di influenza.
Senza questa calibratura gli effetti sarebbero eccessivamente traumatici e l’obiettivo politico finale rischierebbe di essere compromesso per le tensioni economiche, finanziarie e sociali.
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