Le reazioni del mondo politico e della stampa in Germania dopo l'accordo sui dazi tra Stati Uniti e Ue
Non è vero, come si legge su alcuni quotidiani italiani che l’accordo Trump-Von der Leyen sia tanto vantaggioso per la Germania. L’intesa, che prevede dazi agevolati per l’importazione di alcuni beni americani nell’Ue, è stata presentata dal Governo tedesco come un compromesso per evitare una nuova escalation commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Tuttavia, le critiche non sono mancate nemmeno in Germania dove la bilancia commerciale e la vocazione industriale rendono il tema particolarmente sensibile.
Il Governo federale, formato dall’alleanza tra Cdu/Csu e Spd, ha accolto l’accordo con una certa prudenza. Il Cancelliere Friedrich Merz (Cdu) ha dichiarato che, pur trattandosi di un compromesso “doloroso”, esso rappresenta un male minore rispetto a una potenziale guerra commerciale. Tuttavia, ha anche evidenziato come l’asimmetria tariffaria – 15% per l’ingresso di alcuni prodotti europei negli Stati Uniti contro lo 0% per le esportazioni americane verso l’Ue – possa avere un impatto negativo sulle esportazioni tedesche, già provate dalla congiuntura economica. A essere colpita sarà soprattutto l’industria pesante, che resta uno dei cardini dell’economia tedesca.
Anche la Spd, partner di governo, ha riconosciuto la necessità dell’intesa, pur con riserve. Il vicecancelliere e ministro delle Finanze Lars Klingbeil ha sottolineato che “il dialogo è preferibile al conflitto”, ma ha anche avvertito che l’Unione europea dovrà essere pronta a reagire se gli impegni non verranno rispettati. La linea generale della coalizione sembra essere quella di mantenere aperta la strada diplomatica, ma senza rinunciare alla difesa degli interessi economici tedeschi.
Più esplicite le critiche dei Verdi, terzo partner nella precedente maggioranza e oggi tra le voci più attive dell’opposizione parlamentare. Il Vicecancelliere uscente Robert Habeck ha denunciato che i dazi colpiscono in modo sproporzionato la Germania e ha chiesto una risposta unitaria da parte dell’Ue. L’ex ministra dell’Ambiente Steffi Lemke ha espresso timori per l’impatto dell’accordo sugli standard ambientali europei, invitando a non indebolire gli obiettivi climatici per venire incontro alle richieste americane.
Alternative für Deutschland (AfD), da sempre critica verso le istituzioni europee, ha espresso una posizione divisa al proprio interno. Alice Weidel ha criticato duramente l’accordo, definendolo una nuova prova della subordinazione economica dell’Europa agli Stati Uniti e un ostacolo alla sovranità tedesca.
Altri esponenti del partito, tra cui Maximilian Krah, hanno invece mostrato una certa comprensione per la strategia di Trump, vista come esempio di assertività nazionale contro le strutture multilaterali percepite come inefficaci; in pratica, come se dicesse: “Perché non facciamo anche noi come lui?”.
Più esplicite ancora le voci minori del partito, che si riflettono nei numerosi interventi sulle pagine web legate ad AfD. La risposta ai dazi americani, in puro stile Trump, ci sarebbe e AfD la propone da tempo: riaprire le importazioni di gas dalla Federazione russa e, in generale, ristabilire con essa rapporti di scambio economico vantaggiosi per ambedue.
Anche la sinistra di Die Linke ha respinto l’intesa come un ulteriore passo verso l’assoggettamento dell’Europa al modello economico statunitense. In dichiarazioni rilasciate alla stampa, esponenti del partito hanno parlato di “regalo politico” a Washington, sottolineando la necessità di una politica industriale europea autonoma e maggiormente orientata alla giustizia sociale, con, anche in questo caso, il sottinteso della riapertura dei canali economici con Mosca.
Tutti i principali quotidiani tedeschi si sono espressi sull’accordo. Die Welt ha parlato di un “compromesso doloroso” e ha riportato l’allarme dell’industria tedesca, secondo cui l’intesa rischia di avere “effetti devastanti” sulle esportazioni.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung, pur riconoscendo le criticità, è arrivata a suggerire che l’apertura commerciale possa ancora essere vantaggiosa per l’Ue nel lungo termine. In quali termini la Faz liberale e russofoba, non lo spiega.
La Süddeutsche Zeitung, molto vicina alla Spd, ha evidenziato le preoccupazioni interne alla coalizione di governo, sottolineando le tensioni tra obiettivi ambientali, economici e politici e i rischi di incrinature nell’attuale maggioranza.
Agli occhi dei tedeschi chi ne esce peggio è proprio Ursula Von der Leyen, che molti qui chiamano ormai “Von der Lügen” (NdT: Della Bugia). Portata a Bruxelles da Frau Merkel in base al più classico “Promoveatur ut amoveatur”, dopo gli scandali che l’hanno vista come protagonista da ministra della Repubblica Federale, la Presidente della Commissione europea è ritenuta prigioniera dei propri pregiudizi ideologici e sostanzialmente inadeguata al ruolo che si trova a occupare.
Intanto, dato che la coperta è quella che è e riarmo e dazi avranno un forte impatto sulle finanze federali, stanno arrivando le prime brutte notizie per il welfare tedesco. La ministra federale del Lavoro Bärbel Bas (SPD) si è mostrata aperta a un possibile aumento dell’età pensionabile intorno ai 67 anni – seppur con delle riserve. Nel programma “Morgenmagazin” della Zdf ha difeso la politica pensionistica della coalizione nero-rossa (Cdu/Csu-Spd) e ha parlato dei piani di riforma a lungo termine.
Alla domanda diretta se potesse immaginare un innalzamento dell’età pensionabile, Bas ha risposto venerdì mattina alla Zdf: «Sono aperta a tutto». Ha però aggiunto che al tempo stesso è favorevole a far sì che in futuro anche i deputati, i funzionari pubblici e i lavoratori autonomi contribuiscano al sistema pensionistico pubblico. Questa nuova apertura sorprende: ancora a maggio, in un’intervista alla “Berliner Morgenpost”, Bas aveva respinto un aumento generalizzato dell’età pensionabile.
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