La voce del padrone: «La moneta unica si trova in una situazione difficile, ma comunque ce la farà a riprendersi». Così parlò Angela Merkel in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, in cui spiegava che «per la prima volta da quando è stato introdotto, l’euro si trova in una situazione difficile, ma ce la farà». Riferendosi alla Grecia, il cancelliere ha definito “pericoloso” il fatto che «attualmente si sta speculando contro Paesi con una sfavorevole posizione di partenza e con problemi di struttura irrisolti». Al contempo la Merkel ammonisce i Paesi con un forte indebitamento ad affrontare i problemi alla radice, per evitare che venga meno la fiducia nell’euro: «La creazione reale di fiducia nell’euro da parte dei mercati finanziari può riuscire solo se in Grecia e in altri Paesi con deficit di bilancio molto alti il problema viene affrontato alla radice».
Il cancelliere faceva anche sapere di voler difendere con il massimo rigore il rispetto delle norme del Patto di Stabilità: «Perseguirò con tutto il vigore della tradizione della Germania in favore di un marco forte l’obiettivo decisivo della stabilità dell’euro». E riguardo a un possibile allargamento dell’euro ad altri Paesi, il cancelliere esprimeva una grande prudenza, sottolineando che «in futuro bisognerà vedere con esattezza ancora maggiore quale Paese può adottare l’euro. Abbiamo bisogno di maggiore trasparenza e coerenza, per fare in modo che sia impossibile aggirare i criteri (di stabilità)».
Se non l’avevate ancora capito, ora comandano loro. E volano gli stracci nell’Unione, con la Grecia che ricorda ai tedeschi i loro crimini di guerra durante il secondo conflitto mondiale – cosa abbia a che fare con il disastro dei conti pubblici di Atene rimane un mistero irrisolto, chiederemo a Papandreou – e il sacco dell’oro della Banca di Grecia mai restituito e sempre più tedeschi, politici e banchieri, che cominciano seriamente a pensare all’opzione di lasciare gli ellenici ai loro guai e non approntare il piano di salvataggio.
Ma la realtà è un po’ diversa. Questa indegna pantomima, così come le parole della signora Merkel, sottendono un gioco speculativo che in questi giorni sta impegnando non poco gli operatori della City. Non è un caso che l’agenzia internazionale Moody’s sia tornata a minacciare di tagliare il rating della Grecia nei prossimi due mesi se il governo non riuscirà ad applicare le misure a cui si è impegnato nel piano di stabilità per ridurre il deficit. Parola di Pierre Caitelleau, responsabile dei rating sovrani dell’agenzia: «Se nei prossimi due mesi dovessimo vedere una deviazione significativa rispetto al piano, dovremo aggiustare il rating di conseguenza».
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E l’altro ieri anche Standard and Poor’s aveva minacciato di tagliare il rating della Grecia. Moody’s assegna alla Grecia il rating A2, mentre S&P e Fitch le assegnano un rating più basso BBB+. Per questo, sempre ieri, Fitch ha reso noto che non intende tagliare il rating della Grecia nei prossimi mesi: l’analista, Chris Price, spiegava che un taglio del rating «è possibile ma improbabile. Non mi aspetto che le cose possano cambiare molto nei prossimi mesi. Se tutto andrà come mi aspetto lasceremo il rating all’attuale livello».
Il rating di Fitch per la Grecia è BBB+ con outlook negativo, come quello di S&P. Inoltre Price ritiene improbabile l’arrivo di aiuti europei, ma dice anche che se questi dovessero arrivare «sarebbe una buona cosa per il rating della Grecia». Già, ma a chi fa comodo un qualcosa di buono per la Grecia, a parte i greci, non è dato saperlo. Tanto più che gli attriti tra Atene e Berlino hanno fatto salire il differenziale tra i Bund tedeschi e i titoli di Stato ellenici a 332 punti base: gioia per le orecchie di chi sta scommettendo contro il debito greco. E sono in tanti. E stanno puntando miliardi, certi che gli attori si presteranno volentieri a proseguire la loro recita a soggetto.
I tedeschi, infatti, vogliono rifarsi il più possibile di quanto perso e di quanto ancora perderanno – l’ultima trimestrale di Commerzbank e il conseguente tonfo in Borsa parla la lingua della bolla pronta a esplodere di cui ilsussidiario.net informa ormai da mesi – e puntano all’instabilità per giocare sui differenziali e puntare sul default greco: controllata, ovviamente ma pur sempre una scommessa che può pagare molto bene. E che le banche germaniche non intendono farsi sfuggire, con la benedizione di frau Merkel: chiedere nella City per conferme.
Anche perché Fitch, così buona verso lo stato greco, lo è stata meno due giorni fa verso le due principali banche del paese, operando un downgrade e soprattutto mettendo in moto il secondo esodo di capitali: questa volta i cittadini greci abbienti stanno muovendo verso le banche cipriote, un ex protettorato inglese, sede di grandi banche d’affari, di fatto ancora paese off-shore e soprattutto isola in cui la segretezza vige sovrana più che in Svizzera, essendo sede del principale ricevitore del centro d’ascolto globale Echelon.
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Le riserve delle banche greche si stanno erodendo, si rischia il collasso di liquidità e a Londra temono scene stile Northern Rock a brevissimo tempo in molte città greche: il problema è che se la situazione non migliora in brevissimo tempo i bancomat non erogheranno più denaro in stile argentino. E si comincia anche ad attaccare gli altri anelli deboli del Club Med per cercare di rendere più leggera la propria posizione: la retorica nazionalista in auge fa capire quale sia in effetti il reale peso che ha ancora il Pasok nel panorama politico greco e da un paio di giorni l’Italia viene platealmente accusata di «truccare i conti sul proprio debito pubblico», ovvero ciò che ha fatto Atene dal 2001 in poi.
Proprio così, l’espressione usata è “coking the books” e ci dimostra una volta di più che Giulio Tremonti dovrebbe prendere in mano la situazione, in fretta: finché le accuse giungono da un tribuno greco poco male, ma siccome sappiamo tutti che la calunnia è un venticello, potrebbe spandersi sui mercati e attirare le attenzioni di speculatori in vena di diversificazione delle scommesse e soprattutto delle sempre solerti agenzie di rating.
Il momento, amici, è davvero pericoloso. Lo conferma, di fatto, il giudizio emesso ieri dal solitamente ottimista e sorridente Ollie Rehn, commissario Ue per gli affari economici e monetari, a giudizio del quale «la ripresa del settore bancario nell’area euro è in atto ma resta fragile. I tassi dei mercati monetari restano bassi. L’aggiustamento dei bilanci della banche non è ancora stato completato. La ripresa del settore bancario è in atto ma resta fragile. I prestiti bancari alle imprese non finanziarie hanno continuato a scendere, mentre il credito ai risparmiatori è in ripresa».
Tuttavia, è lo stesso Rehn a non escludere che «lo stato del sistema bancario possa limitare i prestiti ai risparmiatori, man mano che la ripresa continuerà. E questo rappresenta il più grosso rischio per la ripresa stessa». Insomma, prepariamoci a tempi molto cupi per l’Europa. E a una stagione di caccia grossa e grandi bottini per gli speculatori. Questa volta aiutati non solo dalle agenzie di rating, ma anche dalla miopia e del provincialismo suicida dei politici della cosiddetta Unione Europea: nella City, ormai, la sigla EU ha cambiato significato. Fra i trader viene declinata come Extremely Useless. Giudicate voi. Il prossimo bersaglio potrebbe essere proprio l’Italia.
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P.S. E non pensate che gli Usa stiano meglio. A dicembre la Cina ha scaricato quasi 35 miliardi di dollari di bond statunitensi e il China Daily, il giornale del Politburo cinese, pochi giorni fa in un articolo di prima pagina invitava strategicamente a continuare in questa politica di alleggerimento: casualmente, l’articolo è stato pubblicato lo stesso giorno dell’incontro tra Barack Obama e il Dalai Lama.
Un segnale politico molto chiaro più che una reale volontà di diversificare investimenti e riserve: o Washington cambia o noi useremo fino in fondo la più potente arma di distruzione di massa in nostro possesso, il loro debito. La Cina ha già fatto capire di essere pronta a lanciarsi sull’euro e questo porterebbe a un ulteriore apprezzamento della nostra moneta comune, di fatto già sopravvalutata del 20%: Dio ci scampi da uno scenario globale di questo genere.