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Home » Economia e Finanza » Finanza Pubblica » Def » DENTRO IL DEF/ “Il nuovo Patto di stabilità è attivo e Roma non riesce a limitarne i danni”

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DENTRO IL DEF/ “Il nuovo Patto di stabilità è attivo e Roma non riesce a limitarne i danni”

Anche se solo con il quadro tendenziale, il Def 2024 fornisce delle indicazioni importanti sulle politiche sia dell'Europa che dell'Italia

Int. Gustavo Piga
Pubblicato 13 Aprile 2024
Paolo Gentiloni e Giancarlo Giorgetti (Ansa)

Paolo Gentiloni e Giancarlo Giorgetti (Ansa)

Il Documento di economia e finanza 2024 è stato trasmesso alle Camere e già anima il dibattito politico, visto che la scelta di inserire solamente il quadro tendenziale viene aspramente criticata dalle opposizioni, che accusano il Governo di non voler o non saper spiegare agli italiani quali sono le misure di politica economica che intende adottare. Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, evidenzia che «di fatto il quadro tendenziale replica quello programmatico della Nadef 2023, salvo una limatura della crescita del Pil e un cambiamento nel livello e nell’andamento del rapporto debito/Pil, che, nonostante il Superbonus, rimane costante tra il 139% e il 140%. Anche se manca il quadro programmatico, il Governo non fa mistero di voler prorogare per l’anno prossimo le misure in scadenza a fine anno sul cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef, tant’è che nello scenario a politiche invariate il deficit/Pil per il 2025 non è più quello del quadro tendenziale (3,7%), ma diventa il 4,6%».


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Tuttavia, nulla si dice su come si vogliono reperire le coperture necessarie per queste proroghe, che non potranno essere in deficit.

Indicarlo adesso, a ridosso delle elezioni europee, sarebbe stato un harakiri. Non ci sono, infatti, molte scelte: verranno aumentate altre tasse e/o si taglieranno delle spese. Tuttavia, mi sembra che dal Def emerga chiaramente che queste misure che il Governo desidererebbe varare non sono quello di cui il Paese ha più bisogno.


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Da cosa lo si vede?

Dal fatto che la crescita del Pil è stimata all’1% per quest’anno (ben al di sopra delle previsioni di Banca d’Italia e Commissione europea), all’1,2% per il prossimo, quindi all’1,1% nel 2026 e allo 0,9% nel 2027. Il tutto nonostante il Pnrr. Occorre, dunque, chiedersi come sia possibile crescere così poco a fronte dell’enorme mole di risorse che, seppur con qualche ritardo rispetto ai tempi inizialmente ipotizzati, stanno arrivando da Bruxelles.

Lei ha una risposta a questa domanda?

La trovo nel quadro tendenziale del Def, laddove si spiega che il deficit/Pil verrà portato al 2,2% nel 2027 e già dall’anno prossimo si tornerà all’avanzo primario e a un suo successivo incremento. Si va, quindi, ben oltre il rientro sotto il 3% nell’arco di un triennio cui eravamo abituati e che pensavo, come le avevo detto in una precedente intervista, di rivedere in questo Def. Bisogna prendere atto che il nuovo Patto di stabilità è già operativo e che l’Italia si vuole impegnare ad arrivare a un deficit/Pil all’1,5% come previsto dalle nuove regole: il Governo le ha sottoscritte e ora ne paga le conseguenze. Tra l’altro tutto questo non fa che confermare che per poter avere le risorse del Pnrr bisogna continuare a portare avanti politiche fiscali restrittive: l’Europa con una mano dà e con l’altra toglie.


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Bruxelles sembra non comprendere il momento critico che l’economia europea sta vivendo…

In un momento in cui negli Stati Uniti si parla di deficit/Pil al 6% nei prossimi dieci anni per affrontare le grandi sfide del futuro, con effetti immediati anche sulla crescita, l’Europa si ingolfa in una logica terrificante che questo Def conferma in toto nei numeri, nello spirito, nella rinuncia a essere coraggiosi per le future generazioni. Bruxelles ha, quindi, le sue responsabilità, ma le ha anche Roma che continua a presentarsi impreparata agli appuntamenti che contano.

Cosa intende dire?

Che a settembre comincerà il grande dibattito su dove trovare le risorse per prorogare il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef senza fare più deficit, perché l’Europa non ce lo consente. Non avendo minimamente voluto mettere in atto una seria spending review, vale a dire una riqualificazione della Pubblica amministrazione, con investimenti mirati per individuare e cancellare gli sprechi, il Governo metterà sul tavolo i tagli lineari. Alla follia austera europea l’Italia risponderà con un’ulteriore follia che incide poi sulla capacità di spendere bene le risorse per gli investimenti pubblici che tanto gioverebbero alla nostra economia.

Non sarà che la spending review che lei auspica non viene attuata per timore di perdere consensi?

Non c’è ragione politica per rimandare una seria spending review. Non si perdono voti, anzi, i cittadini non vedono l’ora di vedere attuato un impegno finalizzato ad avere un Pubblica amministrazione riqualificata e scintillante. Si tratterebbe, quindi, di un’operazione che farebbe crescerebbe i consensi per la coalizione di governo, anche se qualche detentore di rendite improprie non ne sarà contento.Tra l’altro aumenterebbe la fiducia di Bruxelles nell’Italia, il che contribuirebbe a smontare le assurde regole europee che con la loro logica austera penalizzano i più deboli, i giovani e le Pmi.

Se la proroga del taglio del cuneo fiscale e della riduzione delle aliquote Irpef venisse finanziata tramite tagli lineari alla spesa pubblica, saremmo di fronte a un’operazione positiva, negativa o neutra?

Potrebbe essere un’operazione positiva se i tagli colpissero specificamente gli sprechi, ma i tagli lineari vanno a colpire anche servizi essenziali, soprattutto per chi è più in difficoltà, creano instabilità sociale, incidono negativamente sulla volontà di investire. Complessivamente, quindi, si tratterebbe di un’operazione negativa, nemmeno neutra.

(Lorenzo Torrisi)

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Tags: Governo MeloniGiancarlo Giorgetti

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