DIARIO USA/ Addio alla giudice Ruth Ginsburg, speriamo non si incendino le piazze
E’ morta Ruth Bader Ginsburg, giudice liberal della Corte Suprema americana. Adesso si apre la battaglia per la sua successione

MINNEAPOLIS – “I would like to be remembered as someone who used whatever talent she had to do her work to the very best of her ability” – Vorrei essere ricordata come qualcuno che ha usato del proprio talento, qualunque esso fosse, per fare al meglio il proprio lavoro.
Se ne è andata anche lei, Ruth Bader Ginsburg, la grande Signora della Suprema Corte, uno dei personaggi più “influential” dell’America di questi ultimi 30 anni. Portata da Bill Clinton, la Ginsburg nel 1993 divenne la seconda donna a sedere sullo scranno della più alta istituzione del Sistema giudiziario. La prima, Sandra Day O’Connor, nel 1981, era stata una mossa di Ronald Reagan.
Ruth Ginsburg è stata certamente una donna speciale, talmente speciale al punto di diventare una celebrità, “the Notorius RBG”, come veniva chiamata proprio ad indicare quella popolarità quasi da rockstar che l’accompagnava. Ci teneva molto a questa sua “visibilità” sia perché tutti potessero rendersi conto che la Supreme Court non era solo affare di uomini, e poi per provare che nonostante la lunga lotta con il cancro, le facoltà intellettuali e la forza fisica necessarie a portare avanti il suo lavoro non le erano mai mancate.
Grande lavoratrice, preparatissima, geniale, arguta, la Ginsburg con il suo lavoro, con le sue argomentazioni, con i suoi interventi pubblici è stata un punto di riferimento per tutti, amici e nemici, cioè liberals e conservatives.
La sua amicizia con un altro giudice della Corte, Antonin Scalia, lo documenta. Pur essendo ideologicamente agli antipodi, per lunghi anni, fino alla morte di Scalia nel 2016, furono l’uno prezioso all’altra collaborando al lavoro, scambiando opinioni, viaggiando insieme, condividendo l’amore per l’opera e family time. “Nino”, come la Ginsburg chiamava Scalia, “secondo me qualche volta esagera. Avrebbe potuto avere molto più peso se non l’avesse fatto”. “Lo amo”, aggiungeva, “ma qualche volta lo strangolerei”. Un’altra storia di impossibile amicizia in una società sempre più polarizzata.
La Ginsburg era nata e cresciuta a Brooklyn, in una famiglia ebrea, abbandonando però ben presto la religione quando, alla morte della mamma lei, in quanto donna, era stata esclusa dal momento di preghiera. Questo avrebbe segnato indelebilmente il suo cammino di crescita personale e più avanti quello professionale.
Ruth Ginsburg ci lascia in un momento molto difficile per il paese. Siamo ad un mese e mezzo dalle elezioni presidenziali, abbiamo un virus che tormenta la nostra quotidianità (che ci si creda o meno), c’è grande malessere, grande animosità tra chi la pensa diversamente. Tutto questo si esaspererà nel processo di successione che porterà qualcuno a prendere il posto della Ginsburg. Perché?
Perché c’è in ballo l’equilibrio della Corte suprema, l’organo che ha l’ultima parola su quello che i legislatori possono fare o disfare, dall’aborto alla ricerca con le cellule staminali, dalle unioni omosessuali alla sanità… l’istituzione che paragonando le istanze alla Costituzione, di fatto definisce la mentalità, il pensiero legittimo della società attuale. Perché così funziona il Sistema-America con i suoi checks and balances: ogni quattro anni si vota e si possono ribaltare Parlamento e Presidente, ma la Corte suprema resta, i suoi nove componenti restano in carica a vita. E la nomina di un altro Justice conservatore (a rimpiazzare la liberalissima Ginsburg) sposterebbe pesantemente il baricentro, portando a 6 i conservatives contro 3 liberals.
Thomas, giudice scelto da Bush senior che in questi anni ha spesso costituito l’ago della bilancia con i suoi “swing votes”, non farebbe più la differenza. Trump ha già avuto l’opportunità di piazzare due giudici (Gorsuch e Kavanaugh), come già capitò a George Bush e ad Obama, questo sarebbe il terzo. I Repubblicani hanno già dichiarato aperta la campagna di successione. Il tempo è poco, forzeranno la mano. Speriamo che la sfida resti tra le aule delle commissioni parlamentari e non si allarghi nuovamente alle strade delle nostre città.
Sono cose che ho tentato di spiegare tante volte, ma mi permetto di rammentarvele. Così quando assisterete allo “spargimento di sangue” che avrà luogo nel processo di scelta del nuovo Justice, capirete perché sapendo quello che c’è in gioco.
God Bless America!
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