MINNEAPOLIS – Siamo al caos. Un caos immobile dove tutti ormai percepiscono che qualcosa di grave incombe sulla normalità della vita e dove un confuso senso di urgenza lascia tutti inquieti. Che ne siamo consapevoli o no, il virus continua ad erodere gli spazi della nostra autonomia ed in un modo o in un altro tutti avvertiamo sintomi da soffocamento. Eppure nessuno sembra avere l’intelligenza, la lungimiranza, l’energia e la determinazione per fare un passo, per indicare un’ipotesi di cammino attraverso il grande mistero del coronavirus.
Il risultato di tutto questo è una specie di limbo in cui tutti apparentemente stanno bene – ma non è vero – finché qualcuno non comincia a star male. Allora si passa dal senso di disagio a quello di angoscia. Il Presidente è l’emblema di questo caos immobile. Trump ha ormai scelto di ignorare scientificamente la questione. Ha deciso di cacciare la testa sotto terra e punto, non ne parla proprio. Se dice qualcosa è per insistere sul fatto che il peggio è passato e non ci resta che continuare a riaprire. Forse in cuor suo sta puntando tutto sul “miracolo”: che la “bestia”, così come è venuta, se ne vada. Non un atto di fede, ma un inerte fatalismo laico.
Perché lui proprio le mani non ce le vuole mettere. Non ce le vuole mettere anche perché – ormai l’ha capito anche il gatto – non saprebbe assolutamente dove metterle. E fedele a se stesso, continua a scegliere di non fidarsi di nessuno, men che meno di Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive, che pure è evidentemente animato da una ragionevole preoccupazione per la salute pubblica e non certo da motivazioni politiche. Forse Donald Trump sta anche pensando che la selezione naturale si porterà via un tot di “americani inutili”, e che quelli che resteranno saranno forti e solidi nella salute e, grazie all’ostinazione del Presidente, attivi e più vivaci che mai nel business. Magari costoro lo voteranno pure.
Al momento tuttavia questo possibile scenario strategico di Trump non sembra trovare riscontro nel consenso popolare, precipitato ad un meno che modesto 36%. L’abbiamo detto più volte: Biden dice poco, ma oggi come oggi sembra meno dannoso dire poco che parlare come fa il Presidente. Così tutto è in stallo. Adesso che vivo in uno Stato “qualsiasi” di questa Federazione, uno Stato che balza alle cronache solo quando succede qualcosa di tragico come nel caso di George Floyd, questa “apnea esistenziale” è ancora più evidente. Qui in Minnesota non si è vista neanche l’ombra dell’ecatombe che ha colpito New York, ed anche se in questi giorni i contagi aumentano in maniera preoccupante, qui non abbiamo la popolazione di Florida e Texas a rendere il quadro numericamente drammatico.
Ma di certo le cose non stanno migliorando tanto che il Governatore, il Democratico Tim Walz, “vorrebbe” ripristinare l’obbligatorietà della mascherina. “Vorrebbe”, e per farlo “vorrebbe” convincere tutti che non è una questione politica. La mascherina non è una questione politica – non possiamo essere così stupidi da pensarlo – ma le conseguenze dell’imposizione della mascherina e delle restrizioni che ne derivano non possono non avere ripercussioni politiche – non possiamo essere così ingenui da non capirlo.
Proprio ieri, guidando lungo una Country Road di questa terra dei laghi, ho letto su un cartello piazzato davanti ad un Diner, una specie di bar-ristorante, semi abbandonato come tanti esercizi commerciali di questi tempi, “Walz, you are killing us” – Walz, ci stai ammazzando.
È possibile che il bene mio e quello di tutti trovino una strada comune?
God Bless America!