Le puntate sono ancora tutte giocabili sulla roulette della crisi d’agosto. I due forni sono in funzione, i pontieri sono al lavoro, come pure i guastatori. I partiti sono divisi al loro interno, non tutti i leader hanno posizioni definite. Mancano 48 ore al secondo e ultimo giro di consultazioni e le trattative non hanno ancora imboccato una direzione definita.
I più coerenti, al momento, sono quelli del Pd. Hanno chiesto poche cose e chiare, una su tutte: discontinuità con il governo Conte, sui programmi e sui nomi, a cominciare dallo stesso premier. L’altra richiesta qualificante è una presa di posizione chiara dai 5 Stelle sulla chiusura delle trattative alternative con la Lega. Una garanzia che dal M5s non è arrivata e che non arriverà, perché quel negoziato è in corso sia pure molto sottotraccia.
Zingaretti non può fare diversamente. È stato superato in curva dal protagonismo di Renzi, è pure favorevole a un governo con i grillini, ma dev’essere evidente lo stacco con la stagione gialloverde. Il nuovo eventuale accordo non può essere un’operazione trasformista, ma un nuovo punto di partenza. Sul resto si discute, sui punti programmatici non ci sono ostacoli insormontabili, come hanno rilevato i capigruppo. Ma sul taglio con il passato e sulla chiusura del forno leghista, il Pd chiede chiarezza a Luigi Di Maio perché non può snaturare sé stesso pur di ritornare al governo.
Una chiarezza che non c’è e che al momento non si può neppure ipotizzare se maturerà. Il M5s è spaccato al proprio interno tra i favorevoli all’abbraccio con il Nazareno e la marcia indietro per recuperare la Lega. Di Maio tace dal giorno delle consultazioni. Il premier Conte ieri al G7 di Biarritz ha lanciato segnali sconcertanti, ripetendo che per lui il rapporto con Salvini è chiuso (e per gli altri?) ma che al contempo non rinnega quanto fatto in questo anno: non è proprio un proclama di discontinuità.
Di Maio sembra tentato dalle sirene leghiste, che gli hanno offerto Palazzo Chigi in cambio di Giorgetti all’Economia e un po’ di repulisti tra Toninelli, Trenta, Grillo (Giulia) e Costa. Dall’altro lato, lo strappo imposto dal Pd va nel segno di Roberto Fico, presidente della Camera, figura istituzionale che Zingaretti ha ieri proposto come nuovo presidente del Consiglio. Su Fico ci sarebbe anche la convergenza di Matteo Renzi, che finora era parso molto critico con le condizioni poste dal segretario. L’ex premier sembrava disposto a tutto, anche a riconfermare Conte, pur di agganciare i grillini, mandare all’opposizione la Lega ed evitare il voto subito.
Tutto ruota attorno a Di Maio e al suo ego. L’accordo con la Lega lo porterebbe incredibilmente alla guida del governo ma a prezzo di rimangiarsi tutto il fango scaricato addosso a Salvini in questi giorni. Il patto con il Pd, contro il quale si scaglia la base sui blog, significherebbe per Di Maio evitare il voto ma finendo in seconda fila a favore dell’ala storica del Movimento.
I 5 Stelle sgusciano dunque come anguille. Nella stessa Lega c’è molto nervosismo e grande incertezza sugli sviluppi della crisi. Nell’entourage di Salvini sono convinti che tutto possa ancora succedere nelle prossime 48 ore: che si formi un governo M5s-Pd, che si ricomponga la frattura tra Lega e M5s, che si vada a votare. Nonostante le pressioni di Mattarella, i primattori restano ancora dietro le quinte di questo spettacolo piuttosto deprimente.
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