Oggi il format sindacale Cgil-Usb-Cub-Cobas sarà di nuovo in piazza. A parole, per Gaza, in realtà l’obiettivo è il voto di domenica

Ieri sono state le piazze francesi a riempirsi di proteste, oggi saranno quelle italiane. Ma con differenze abissali. A Parigi e nelle altre città d’Oltralpe la gente ha manifestato contro un governo che non c’è da 15 mesi (anzi da 40). Contro il quinto premier designato in tre anni dal presidente Emmanuel Macron.



E lunedì sarà un mese che Sebastien Lecornu ha ricevuto l’investitura e ancora non è riuscito a nominare i suoi ministri e a presentarsi davanti all’Assemblea nazionale; nella Quinta Repubblica francese non era mai accaduto.

Lecornu è chiamato a inviare in tempi brevi alla Ue il budget 2026 – non diversamente da 26 altri capi di governo – mentre i mercati incalzano lo spread francese dopo il taglio del rating Fitch. Ma proprio le piazze hanno ripetuto ieri al premier incaricato un no duro all’austerity che già i suoi due predecessori hanno ritenuto necessario mettere in agenda per raddrizzare le finanze pubbliche del Paese. Rimettendoci puntualmente il posto, anzitutto sul proposito di attuare la riforma delle pensioni che la Ue e i mercati hanno imposto all’Italia 14 anni fa.



La Francia profonda appare però stanca di anni di bassa crescita, alta inflazione, debito in aumento e azione di governo confusa e nulla nei risultati. Non ne può chiaramente più di un presidente “jupiteriano” che nel primo mandato si è intestardito a far pagare ai gilet gialli una transizione verde ideologica e oggi pare “volenteroso” soltanto di continuare la guerra in Ucraina a spese (anche) del debito pubblico nazionale.

È per questo che i francesi – cittadini/elettori/contribuenti, lavoratori, pensionati, studenti – ieri sono scesi in piazza convocati dai loro sindacati: frustrati, fra l’altro, che Macron si mostri preoccupato ormai solo di far titolo sui media internazionali con il retorico riconoscimento della Palestina all’Onu e con la coda dell’occhio alla Flotilla in crociera verso Gaza. E questo con lo spregiudicato retropensiero di strappare ai socialisti un brandello di consenso iniziale per Lecornu.



Governo Francia, il Presidente Macron con il Premier Lecornu (ANSA-EPA 2025)

Se i sindacati francesi hanno un bersaglio politico – ma dietro proteste apertamente socioeconomiche – questo è un presidente latitante e irresponsabile, che rifiuta perfino di dare al Paese un governo che si occupi dei redditi e della stabilità finanziaria, delle tasse che alimentano il bilancio statale e quindi le spese e gli investimenti pubblici.

A Roma, Milano, Torino e altrove in Italia oggi andrà in onda un copione molto diverso. Il Paese un governo ce l’ha da tre anni. La sua maggioranza ha ricevuto un netto consenso elettorale iniziale – ribadito poi al voto europeo e in una serie di voti locali – e l’esecutivo Meloni è oggi il quarto per durata in 79 anni di storia repubblicana (fra due settimane sarà il terzo e molti osservatori pronosticano che diventerà il primo in carica per una legislatura piena).

L’Italia condivide certamente con tutti i Paesi Ue problemi di crescita, di occupazione stabile, di svalutazione del potere d’acquisto e dei risparmi delle famiglie, di competitività delle imprese, soprattutto in seguito all’inflazione geopolitica. Le finanze pubbliche sono ancora appesantite dal cumulo storico del debito, ma il deficit è sotto controllo e tiene tranquilli mercati e Bruxelles.

Nel mezzo di una crisi geopolitica senza precedenti, il governo ha tenuto una linea coerente di fedeltà alla Ue, alla Nato, agli Usa (prima con Joe Biden alla presidenza, ora con Donald Trump). Con questa postura Palazzo Chigi ha affrontato la guerra di Gaza (negli ultimi giorni anche il caso Flotilla) e sta elaborando con i partner occidentali dossier di primo impegno legati al protrarsi del conflitto russo-ucraino e alle esigenze di riarmo europeo.

Se c’è uno specifico punto di sofferenza socioeconomica in Italia, questo è rappresentato dal peggioramento del Servizio sanitario nazionale, già dai lunghi mesi della pandemia. Su questo era lecito attendersi – e non da oggi – una mobilitazione delle piazze, su spinta dei sindacati come dei partiti di opposizione. Invece Usb e Cgil (quest’ultima a “gatto selvaggio”) hanno indetto uno sciopero generale – il secondo in due settimane – per protestare contro la politica del governo verso la crisi di Gaza, fra i flash del caso Flotilla, peraltro solo italiani (nella stessa Francia la vicenda è stata pressoché ignorata).

L’obiettivo di uno sciopero-fake appare del tutto strumentale e improprio per un soggetto rappresentativo dei lavoratori: è tenere alta una tensione puramente elettorale in vista del voto regionale in Calabria nel fine settimana (e poi via via in Puglia, Toscana, Veneto).

Pochi giorni fa la tattica è fallita al primo appuntamento nelle Marche, ma evidentemente ciò non è bastato a far desistere il segretario della Cgil, Maurizio Landini.

Il quale non si pone più un problema di legittimità – ma alla fine neppure di opportunità o utilità – di paralizzare il Paese nei trasporti ferroviari senza preavviso. L’importante è accendere a orologeria gli antagonisti che già pochi giorni fa hanno seminato il caos in piazze, stazioni, autostrade e università.

L’algoritmo di una vera e propria “strategia della tensione” è indire uno uno sciopero generale pretestuoso il venerdì per innescare un “sabato di fuoco” (ufficialmente pro-pal) e contare sull’effetto mediatico nel voto di domenica.

Ma per la Cgil – per la sinistra italiana – l’unico impegno democratico possibile appare ormai questo: una “resistenza” infinita e sempre più violenta. E il rifiuto ultimo di accettare la propria sconfitta storica è lo stesso di Macron.

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