Ieri è stata resa pubblica l’Esortazione apostolica “Dilexi te”, firmata il 4 ottobre, primo documento magisteriale di papa Leone XIV

Papa Leone nel suo primo documento ufficiale, Dilexi te, ha scelto di riprendere e far proprio un testo iniziato da Papa Francesco “sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri”. La stretta continuità col suo predecessore segna tutto il testo: non solo per gli ampi riferimenti al magistero di Bergoglio, ma anche per la convinzione condivisa che i passi compiuti dall’episcopato latino-americano negli ultimi vent’anni debbano diventare una tappa significativa per la Chiesa intera.



Dilexi te contiene un invito potente e inquietante. Credo che tanto se ne parlerà, non solo nei prossimi giorni. A un giorno dalla sua uscita, mi permetto di accennare soltanto a due impressioni, ricavate da due espressioni usate nel testo per descrivere la figura di sant’Agostino: “cristocentrica e profondamente ecclesiale”.



Il testo, infatti, insiste continuamente sull’inscindibilità tra l’esperienza dell’amore di Cristo e la concretezza della cura della Chiesa verso i poveri: l’uno non si dà senza l’altro.

La dimensione cristocentrica

Portare lo sguardo sui poveri per Prevost è il modo più concreto per riportare l’attenzione al cuore di Cristo: da qui la continuità con l’enciclica di Papa Francesco Dilexit nos, dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Come viene descritto nell’excursus biblico all’interno del testo, Dio ha sempre avuto un’opzione preferenziale per i poveri: in loro ha amato la povertà di tutta l’umanità e per salvare questa stessa umanità si è fatto povero.



L’attenzione ai poveri, perciò, non si pone nell’ordine delle analisi sociologiche, della beneficenza o dei problemi da risolvere, ma nell’ordine della Rivelazione. Come ha scoperto san Francesco, nell’abbraccio al povero è Dio stesso che oggi ci si fa incontro con la sua presenza viva, una “carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata”. Deve arrivare fino a questo punto la realtà dell’incarnazione.

Il cristiano, perciò, non si accosta al povero come un filantropo o un attivista, che si muove dall’alto verso il basso, trattando l’altro come un oggetto della propria compassione. Madre Teresa di Calcutta ci insegna – afferma Prevost – che si va incontro al povero come la sposa che va dallo Sposo: Lo adora, Lo contempla e si immedesima col Suo stesso cuore, al punto da offrire sé e sacrificarsi nella cura di una persona concreta.

Per questo ogni gesto rivolto al povero rimane per sempre fino all’ultimo giorno, perché ha un valore nuziale, nel senso che consacra il rapporto tra la miseria della nostra umanità e l’amore eterno di Dio.

La dimensione ecclesiale

Per Leone la Chiesa è con chiarezza il corpo di Cristo nella storia che realizza la sua vocazione più profonda, “quando si inginocchia accanto a un lebbroso, a un bambino denutrito o a un morente anonimo”, perché ama “il Signore là dove Egli è più sfigurato”.

La cura dei poveri non può essere solo la “fissazione” di alcuni, ma è “il nucleo incandescente della missione ecclesiale”, come è evidenziato dal lungo excursus storico che occupa il corpo centrale del testo: dalle prime comunità cristiane si spazia fino alle grandi storie di congregazioni e di santi che si sono presi cura dei malati, dei prigionieri, dell’educazione dei poveri e dell’accoglienza dei migranti.

Papa Leone XIV in Basilica di San Paolo fuori le Mura (ANSA 2025, Angelo Carconi)

Per papa Leone dare priorità alla presenza dei poveri, anche a livello istituzionale, è quanto mai urgente per il rinnovamento della Chiesa, proprio per farla uscire dalle secche dell’autoreferenzialità, del “rigore dottrinale senza misericordia”, della mondanità, della estenuante ricerca dei nemici da combattere: si tratta di virus a cui si espone il corpo ecclesiale di fronte all’attuale cambiamento d’epoca.

Proprio in questo tempo, la Chiesa può riscoprire di essere la sposa del Signore, ma solo quando si fa sorella dei poveri; si può mostrare come una madre accogliente, ma solo quando riconosce che “in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità”; può rivelarsi come luce del mondo, ma “solo quando si spoglia di tutto, [… perché] la santità passa attraverso un cuore umile e dedito ai più piccoli”.

Perciò la Chiesa, quando si china per mettersi al servizio dei poveri, assume la sua postura più elevata, che rivela la sua identità: è corpo e sposa di Cristo, madre e santa, luce del mondo.

Proprio su questo necessario rinnovamento ecclesiale, la persona mite ed equilibrata di Papa Leone non teme di usare toni netti e dirompenti. Da una parte ringrazia coloro che non solo fanno qualche visita ai poveri, ma hanno scelto di vivere tra i poveri. Dall’altra non manca di ammettere che noi cristiani “siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente”.

Occorre, invece, avere il coraggio della denuncia delle strutture di ingiustizia per la promozione integrale dell’essere umano: “è compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli ‘stupidi’”.

Il Papa punta il dito contro l’indifferenza e l’elitarismo di alcuni movimenti e gruppi cristiani, che si prendono cura solo dei ceti benestanti, ignorano i poveri, riducono il cristianesimo all’intimismo del proprio ambito privato e corrono inevitabilmente il rischio della dissoluzione. Quale comunità può dirsi esente da questo rischio?

Accostarsi a Cristo vivo

Non per un moralismo, ma per ritornare a Cristo e alla vera identità della Chiesa, il Papa suggerisce la sua via, la cura del povero, a partire da un primo gesto semplicissimo: l’elemosina, cui dedica le ultime battute del suo scritto. Chi si accosta al povero come se si accostasse a Cristo vivo, potrà sperimentare che “la carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento”. Può cambiare la storia, perché cambia il cuore dell’uomo.

Il povero dal punto di vista della sua marginalità apre nuove prospettive, disarma l’orgoglio aggressivo, riporta alla fondamentale precarietà della vita e la semplifica: l’uomo torna a scoprirsi oggetto della misericordia di Cristo e chiamato ad essere segno trasparente della sua presenza nel mondo.

Questa è la via che ha cambiato la vita di Robert Prevost, come confessa parlando della sua esperienza missionaria in Perù. Lui, come Leone XIV, la ripropone alla Chiesa. A ciascuno dei cristiani di questo tempo, è offerta la possibilità di verificarla.

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