DISCOTECHE CHIUSE/ C’è un’Italia piena di rancore che l’ha giurata ai giovani

- Monica Mondo

È facile colpevolizzare i ragazzi che vogliono vivere dopo mesi di lockdown. Ma sono loro che pagheranno la crisi causata dal Covid in una società che muore

discoteche chiuse LaPresse

Questi giovani, sconsiderati. Che vogliono ballare ridere e incontrarsi. D’estate. Dopo mesi chiusi in casa. Loro che non hanno potuto frequentare le scuole, le università. Che hanno perso erasmus, tirocini e stages. Che hanno visto sfumare promesse di lavoro. Che vedono svanire stabilità, autonomia e futuro. Questi giovani, che hanno obbedito, sopportato come tutti, ma con più fatica. Che hanno ripreso a viaggiare e vedersi e vivere obbedendo, che discoteche e pub non se li sono aperti da soli. All’aperto, poi. Che terroristi. Quando al chiuso su autobus e metro e supermercati ci si appiccica senza ritegno e senza sanzioni o anatemi. Quando le spiagge, che dovevano essere controllate e conteggiate, brulicano di carne e sudore ammassati.

Prendiamocela coi giovani, quei pochi che tornati da viaggi all’estero affatto vietati risultano positivi. Accusiamoli di fare gli untori, imputiamogli la colpa di contagiare genitori e nonni. L’astio rancido che circola nelle interviste, sui social, nelle chiacchiere da bar non ha nulla a che vedere con le sacrosante raccomandazioni dei saggi, con l’invito alla prudenza, all’accortezza, alla responsabilità. Ha a che fare piuttosto con l’invidia. La non accettazione del tempo che passa e impedisce di muoversi, agire, essere come tutti sono stati a vent’anni. Le signore indignate che commendano la sventatezza giovanile e i loro compagni attempati, magari col codino grigio, scordano volentieri l’età in cui sono stati più stupidi, più indisciplinati, più ricchi e fortunati dei loro figli e nipoti.

Tocca tifare per loro, in questo paese di vecchi, di stanchi, delusi eppure accomodati. Un paese dove non ci si sposa, non si fanno figli, non si inventa, non si ride. Un paese da cui si scappa. Tocca star dietro ai giovani, ma volendo loro bene. Sostenendo la fragilità esistenziale che gli lasciamo in eredità. Se non dovevano ballare, bastava dirlo prima. Se non dovevano andare all’estero, bastava spiegarlo prima. Ne abbiamo avuti di decreti e intimazioni a ruota, in questi mesi, siamo pronti ad accettare tutto, purtroppo, anche quel che non è necessario, né suffragato dall’unanimità dei medici, anche quel che pare solo e soltanto scelta politica.

Figurarsi che ci importava delle discoteche e dei viaggi in Croazia e a Malta, noi che abbiamo la Sardegna. Ma tant’è: nel bisogno impellente di scatenare su un colpevole la nostra rabbia e impotenza, prendiamocela coi giovani, che sono così vitali e appassionati, come noi non siamo. Tanto sono loro che pagheranno il debito mostruoso che accumuliamo da decenni, che pagheranno le conseguenze di questa pandemia, del virus e della paura, dell’egoismo.







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