Cara Angelina,
da quando ho letto dell’intervento a cui hai voluto sottoporti mi è nato in cuore il desiderio di scriverti. Non sapevo però come raggiungerti. Ho persino guardato se c’era un tuo blog.
Poi, un amico mi ha suggerito di mandare una lettera aperta un quotidiano. Avevo deciso di fare così, quando ho letto del chiarimento di Veronesi circa il tuo intervento, e cioè che non hai subito l’amputazione dei seni, ma che ti è stata tolta una ghiandola mammaria e applicata una protesi.
Mi sono detta: “allora forse non è così importante che io le scriva”. Ma l’esitazione è durata un istante, perché ho dovuto chiedermi che cosa mi avesse mosso così tanto da desiderare di scriverti, e questa urgenza non si è certo attenuata per la minor aggressività dell’operazione. Mi sono infatti nuovamente accorta che ciò che mi ha commosso è stato l’aver intuito, quasi fisicamente sentito, il grido di vita che sta dietro al tuo gesto. Questo grido di vita ha destato in me come una tenerezza infinita, come di una mamma (anche se, pur avendo qualche anno in più di te, non potrei esserlo anagraficamente) che vedesse il suo bambino compiere un gesto grande e insieme sproporzionato alla profondità del suo desiderio.
Che cosa, o meglio chi, può essere all’altezza di questo desiderio? Può esso trovare compiuta risposta in qualcosa che sia costretto ad eliminare un pezzo di realtà? Qual è la ferita che il dolore, proprio, o dei propri cari, apre nella nostra carne?
Non ho potuto non ricordare la prima volta che ho visto mio papà piangere per la malattia di mia mamma. Immediatamente quella volta era stato chiaro che sarebbe stato inaccettabile che una sola lacrima di mio papà andasse perduta, senza significato. Mi accorsi allora che potevo sostenere questa pretesa di significato perché avevo già visto tante volte nella mia vita una costruttività e una positività sorgere proprio dal dolore e dalla prova, e potevo quindi attendermi che potesse accadere ancora.
Proprio negli ultimi mesi di vita di mia mamma mi ero imbattuta in alcune parole di Benedetto XVI, che da allora sono rimaste scritte su quel “foglietto volante” posato sulla mia scrivania, accompagnandomi poi spesso, e che per questo voglio trascriverti: “Se l’amato, l’amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazione di tribolazione rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze”.
Ti auguro di poter guardare fino in fondo alla sorgente del grido che ti ha mosso in quest’occasione, insieme ad una compagnia di questo tipo. E ti ringrazio perché la tua azione mi fa chiedere, anche per me, di non temere mai di ascoltare tutta l’esigenza profonda del mio cuore, che io non saprei nemmeno immaginare, né potrei inventarmi, se non mi fosse data da Colui che intende compierla.
Con un abbraccio più forte di qualunque distanza.
Tiziana