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Home » Esteri » Usa » DOPO CHARLIE KIRK/ “Nel perdono di Erika un gesto di fede che cambia la storia”

  • Usa
  • Esteri

DOPO CHARLIE KIRK/ “Nel perdono di Erika un gesto di fede che cambia la storia”

Int. Marco Respinti
Pubblicato 24 Settembre 2025
Erika Kirk nello State Farm Stadium in Glendale, Arizona, USA durante le esequie del marito Charlie (Ansa)

Erika Kirk nello State Farm Stadium in Glendale, Arizona, USA durante le esequie del marito Charlie (Ansa)

In occasione delle esequie di Charlie Kirk gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere un Paese che non si vergogna di dichiarare la propria fede in pubblico

L’intervento di Giuliano Ferrara sul Foglio di ieri ha riaperto il dibattito sui funerali di Charlie Kirk, che non sono stati il palcoscenico di un fanatismo collettivo, ma l’espressione di un mondo e di una cultura che non esclude la fede dallo spazio pubblico. Sul tema abbiamo sentito Marco Respinti, scrittore, giornalista e Senior Fellow del Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Michigan).


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Charlie Kirk era davvero un seminatore d’odio?

Per la mentalità dominante, che sempre più spesso detiene lo scettro del potere, chi dice qualcosa di non allineato, persino di normale, su famiglia, aborto, gender e così via, è un seminatore d’odio. In realtà è chi etichetta in questo modo le persone, impedendo loro persino di parlare, che semina odio a profusione. L’assassinio di Charlie Kirk lo conferma.


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Come giudica l’evento spettacolare dei suoi funerali? È stato un rito collettivo, una dimostrazione pubblica di forza?

Ciò che è accaduto domenica 21 settembre è difficilissimo da comprendere se lo si guarda con gli occhi supponenti di quell’Europa che ha messo alle spalle ideali e morale. Gli Stati Uniti, invece, sono ancora fatti di gente semplice, che sa affrontare gli avvenimenti più drammatici con estrema serietà. Le solenni e scenografiche esequie di Charlie, colpito a morte il 10 settembre per farlo tacere, lo dimostrano: abbiamo avuto l’esempio di come negli States si celebri sempre l’irruzione dell’inatteso e del mistero nella vita quotidiana.


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Quelle che chiamiamo per dileggio “americanate” sono in realtà il momento in cui il privato diventa pubblico facendosi storia di un popolo, popolo che accompagna gli istanti forti dell’esistenza come fa il coro nella tragedia greca. Lo spettacolo è infatti catarsi. Serve a purificare gli sguardi, le intenzioni, le passioni. C’era bisogno impellente che il popolo che si è riconosciuto in Charlie Kirk si stringesse, si toccasse, si sorreggesse, si abbracciasse.

Forse c’è stata troppa retorica, troppe parole altisonanti. È d’accordo?

Ci sono occasioni in cui anche il parlato svolge un ruolo primario. I discorsi pubblici americani sono preparati e studiati davanti allo specchio, perché il mondo è un palcoscenico. Oltreoceano la retorica pubblica è quasi un genere letterario, la si può anche studiare. Le figure al top, in primis i presidenti e i loro speech-writer, cesellano i discorsi come fossero sermoni sin da quando gli Stati Uniti sono nati. Tutti i presidenti, anche i più disincantati o meno religiosi, da Kennedy a Clinton fino a Obama, hanno costantemente adottato toni magniloquenti, visionari, futuristici.

Mattia Ferraresi sul Domani ha parlato di “toni escatologici”, “visione millenaristica”, “passaggio alla fase apocalittica”. 

Sì, ha scomodato per questa dinamica prettamente, profondamente americana, il termine “apocalittico”. Ma io non ci andrei giù così con la roncola: mi spingerei oltre, vedendoci invece l’imprinting indelebile di un mondo intrinsecamente religioso.

Gli Stati Uniti sono e restano un Paese profondamente credente e per questo sanamente laico, che non confonde i piani fra religione e politica, ma che fa tracimare un piano dentro l’altro con libertà e disinvoltura: un Paese, insomma, che della fede pubblica non si vergogna, e questo finisce per far sì che religiosi lo siano anche quegli americani che in realtà religiosi non lo sono.

Il funerale di Charlie è stato uno spartiacque?

Un momento del funerale di Charlie Kirk (Ansa)

Solo la storia lo dirà. Ma già ora è possibile sottolineare un tratto storico, nell’orazione funebre pronunciata da Erika, la vedova di Charlie, e si esplicita in due momenti senza ritorno. Il primo è quando, gettando il cuore oltre l’ostacolo, in uno dei momenti più duri della sua esistenza, Erika, dopo aver citato Gesù agonizzante in Croce, ha perdonato l’assassino del marito in diretta mondiale. Un gesto così cambia davvero la storia, a cominciare dalla storia di chi era presente nello State Farm Stadium, che ha risposto singhiozzando e unendo le mani in preghiera.

Da quel momento la loro vita è cambiata, com’è cambiata la vita di chi ha ricevuto quel gesto catartico attraverso la TV o il web. Il secondo momento è conseguente al primo, quando Erika ha detto: “La risposta all’odio non è l’odio. La risposta che conosciamo dal Vangelo è l’amore e sempre l’amore. Amore per i nostri nemici e amore per chi ci perseguita”. E ha aggiunto che il mondo ha bisogno di chi “indichi ai giovani la strada che li tenga lontani dalla pena e dal peccato, ha bisogno di qualcosa che guidi le persone tenendole lontane dall’inferno, in questo mondo e nell’altro, ha bisogno che i giovani vengano orientati alla verità e alla bellezza”.

Cosa succederà adesso?

Erika con le sue forti parole ha offerto al mondo un’idea della politica come amministrazione e governo della polis che parte dalla salvezza auspicata e cercata, voluta e dunque costruita delle persone. Ha affermato che il primo bisogno è la salvezza, lo stare lontano dal male e il tornare ad abbracciare il bene della verità. È un programma meravigliosamente politico che parte dalle persone di carne e sangue, che guarda le persone negli occhi, che ama le persone.

Non so cosa succederà adesso, cosa farà Erika e cosa farà il mondo. Ma quelle parole della signora Kirk sono davvero senza ritorno: sono state pronunciate e non possono essere cancellate. Non è l’apocalisse: è la vita affrontata con moralità, cioè l’esistenza presa sul serio. Gli americani ne sono ancora capaci, sono ancora capaci di sorprenderci.

Cambierà qualcosa nel popolo MAGA?

Non so se esista davvero un popolo MAGA (Make America Great Again) e un Alt-Right, cioè la discutibile destra estrema alternativa al conservatorismo tradizionale: da trent’anni studio quei mondi e ho tanto l’impressione che siano etichette che scova chi non sa spiegare. Quel che so è che esiste un popolo vero, qualunque sia il suo nome, che, a torto o a ragione, in una certa fase della propria storia ha visto in Trump l’uomo che ne potesse rappresentare le istanze e l’ha seguito. Resta però un mondo vasto, variegato. È un popolo di persone: quelle per cui, non contandole solamente come numeri elettorali, Erika Kirk ha speso parole d’amore e perdono.

Non è possibile ridurle a una caricatura da titolo di giornale. Sopravvivranno all’uragano Donald, sopravvivranno alla presidenza Trump, avranno il compito di eseguire il mandato che Erika Kirk ha affidato loro a Phoenix. Per questo le parole di Trump, “odio i miei oppositori”, pronunciate poco dopo quelle, diversissime, di Erika, a corpo di Charlie ancora caldo, sono state il sigillo del suo essere fatto di ben altra stoffa. Quel giorno una giovane vedova ha battuto in umanità il vecchio presidente.

(Vincenzo Sansonetti)

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Tags: Donald TrumpBarack Obama

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