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Home » Esteri » DOPO PUTIN-TRUMP/ La “Yalta del disordine”: perché in Ucraina non ci sarà pace senza Pechino

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DOPO PUTIN-TRUMP/ La “Yalta del disordine”: perché in Ucraina non ci sarà pace senza Pechino

Andrea Pomella
Pubblicato 18 Agosto 2025
Xi Jinping, Presidente della Cina (Ansa)

Xi Jinping, Presidente della Cina (Ansa)

In molti hanno parlato di nuova Yalta per definire il summit Trump-Putin. In realtà, al tavolo manca un terzo “pacificatore”, non meno indispensabile

La dinamica instabile delle relazioni internazionali ha portato molti analisti ad evocare la possibilità di una nuova Yalta. Il recente vertice in Alaska fra Putin e Trump ha fatto pensare a una nuova spartizione del mondo in aree di influenza, ma quello con Yalta è un parallelo sì suggestivo, e tuttavia molto lontano dalla realtà.


Asset russi congelati, pressing Germania ma Belgio: "Rischiamo perdite miliardarie"/ Lega: "Vanno restituiti"


La conferenza del 1945 alla conclusione del secondo lungo conflitto mondiale stabilì la natura dei rapporti di forza dell’epoca, separando vincitori e vinti in modo chiaramente definito. Oggi ci troviamo, invece, di fronte a una condizione radicalmente diversa. Non vi è stato ancora alcun conflitto risolutivo e i rapporti di forza restano fluidi e instabili.


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Se di Yalta si può parlare, è semmai di una Yalta del disordine, in cui le crisi vengono gestite senza essere risolte e in cui le linee di divisione non sono nette ma mutevoli.

Già nel 2018 avevo ipotizzato la possibilità di un mondo instabile post-globalizzazione guidato da un direttorio a geometria variabile composto da Stati Uniti, Russia e Cina ispirato esclusivamente dalla logica di potere e della contingenza. Quella intuizione trova oggi conferma: il sistema delle relazioni internazionali non si muove più nel solco della governance di istituzioni internazionali, ma attraverso negoziati bilaterali, intese tattiche e convergenze temporanee.


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Una realtà in cui le tre potenze condizionano la stabilità del sistema e le alleanze non sono più fondate su princìpi valoriali, ma su convenienza e mutevoli rapporti di forza.

Il prossimo vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) del 31 agosto a Tianjin rappresenta un’altra tappa di questa fase di transizione e si terrà in concomitanza con la grande parata militare del 3 settembre a Pechino, organizzata per celebrare l’ottantesimo anniversario della vittoria nella guerra contro il Giappone e nella “guerra antifascista mondiale”. Una commemorazione dal chiaro valore simbolico con cui si intende rafforzare il messaggio di continuità storica, presentando la Cina come l’erede di una lunga tradizione antimperialista.

Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa (Ansa)

L’organizzazione, erede dello “Shanghai Five”, è oggi una piattaforma dalla chiara valenza strategica e militare basata sulla cooperazione eurasiatica, ma che nel corso del tempo è divenuta per Pechino l’occasione di presentarsi come potenza stabilizzatrice, capace di mediare e di attrarre attorno a sé una costellazione di Paesi sempre più ampia, arrivando ad includere India, Pakistan, Iran e Bielorussia.

Inoltre, per Xi Jinping, il vertice sarà soprattutto l’occasione per ricordare a Putin la gerarchia del loro rapporto, che vede la Russia in una posizione subordinata. Benché il presidente russo cerchi di ampliare la propria capacità di manovra, come dimostra l’intensa attività diplomatica alla vigilia del recente vertice in Alaska, la relazione sino-russa si basa su una dipendenza tecnologica ed economica che le permette di alimentare il suo sforzo bellico.

Un altro attore chiave è l’India. La decisione di Narendra Modi di recarsi in Cina dopo anni di freddezza seguiti agli scontri di confine del 2020, segnala un potenziale cambio di rotta, favorito anche dalle tensioni commerciali con Washington.

I dazi imposti dall’amministrazione Trump rischiano infatti di spingere Nuova Delhi più vicino a Pechino, in un gioco diplomatico che accentua la natura variabile del nuovo direttorio.

Non è un caso che l’India, pur membro del Quad insieme a Stati Uniti, Giappone e Australia, si ritrovi ora a giocare un ruolo di bilanciamento che rafforza la centralità della Cina.

A pagare il prezzo più alto di questa geometria instabile è ancora una volta l’Europa, che appare ancora frammentata, priva di una visione autonoma e  incapace di fare sentire la sua voce nei negoziazioni globali. Per questo insieme di fattori, qualora una nuova Yalta dovesse realizzarsi darebbe vita a un equilibrio instabile dai rapporti di forza ancora incerti e fluidi.

Sarebbe, appunto, una “Yalta del disordine”, ovvero un sistema mutevole, dove le tre grandi potenze del direttorio cercano di massimizzare i propri interessi, senza fornire soluzioni durature. Un contesto che si caratterizza per un paradosso strategico: senza la collaborazione delle tre potenze è impossibile trovare una qualche forma, seppur precaria e incerta, di stabilità.

Per questo motivo, in Ucraina nessuna prospettiva di pace potrà concretizzarsi senza il coinvolgimento della Cina, che ne è pienamente consapevole e cercherà di trasformare tale condizione in un’opportunità da capitalizzare sul piano politico e strategico.

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Tags: Xi JinpingDonald TrumpVladimir Putin

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