Mario Draghi è tornato a parlare della competitività UE: la lezione su debito, federazione e transizione green che Bruxelles non ha capito
A un anno di distanza dalla presentazione dell’acclamato – e altrettanto ignorato – report sulla competitività dell’Unione Europea, l’ex BCE Mario Draghi è tornato a Bruxelles per tirare le somme sulle politiche messe in campo e sulle sfide (crescenti) che attendono i 27 all’orizzonte; partendo dal monito che un anno dopo il report la situazione è “ancora più difficile” con una crescita che si è ridotta ormai all’osso, una “vulnerabilità” che cresce e – più in generale – un “percorso chiaro per finanziare gli investimenti” del tutto assente.
Secondo Draghi attualmente la minaccia principale per l’UE è la stessa “inazione” di Bruxelles che sta minacciando sia “la competitività”, che la “sovranità” dell’Unione; tutto – naturalmente – a spese dei cittadini che da tempo esprimono la loro “frustrazione” per “la lentezza” del blocco europeo: l’UE – ma anche “i governi” nazionali – secondo Draghi, infatti, è percepita come “incapace di tenere il passo” con il resto del mondo, preferendo facili e comode “scuse” in un “compiacimento” che non giova a nessuno.
D’altra parte, Draghi ci tiene a mettere in chiaro che in alcuni settori – e cita, per esempio, le “gigafabbriche di IA”, i datacenter e le “telecomunicazioni” – l’UE ha saputo dimostrarsi ancora competitiva nel mondo; ma al contempo non nega neppure che non si sia fatto veramente nulla per ridurre “la dipendenza economica” dagli altri attori stranieri, con gli USA dai quali ormai dipendiamo interamente per “la difesa” e la Cina che detiene ancora l’assoluto monopolio sulle “materie prime” critiche.
La soluzione di Draghi alla stagnazione europea: “Transizione green flessibile, energia e debito comune per i grandi progetti”
Insomma, il monito di Draghi è chiaro: continuando su questa china, l’UE è destinata a diventare un attore del tutto ininfluente sul panorama mondiale; ma la buona notizia – almeno, se venisse ascoltata – è che delle soluzioni sono ancora possibili: la prima – ad avviso di Draghi – è quella di iniziare a lavorare a una transizione green “flessibile e pragmatica” che superi gli attuali preconcetti e i “limiti autoimposti” che – soprattutto nell’automotive – hanno dimostrato il loro completo fallimento; il tutto seguendo un “approccio tecnologicamente neutrale” che ridia vigore a un mercato in fortissima crisi.

Non solo, perché per Draghi importante dovrebbe essere un ampio ragionamento sui prezzi dell’energia che “sono ancora quasi quattro volte superiori” a quelli statunitensi e rappresentano il principale blocco allo sviluppo dell’economica “ad alta tecnologia”: in tal senso, il consiglio dell’ex banchiere è quello di “disaccoppiare la remunerazione delle rinnovabili”, ricorrendo anche a “contratti a lungo termine”, aprendo a degli acquisti di gas che siano “collettivi” in modo da ridurre i costi e – forse soprattutto – all’accelerazione degli investimenti sulle reti elettriche.
Infine, secondo Draghi è ora che si superino le divisioni territoriali per arrivare a una sorta di “federazione” che non passi necessariamente da una modifica dei trattati, ma anche da quelle che definisce “coalizioni di volenterosi” che cooperino su alcuni settori strategici; mentre a livello generale secondo Draghi si deve sbloccare il meccanismo del “debito comune” per finanziare i “progetti comuni” a beneficio ultimo della “produttività”.
