Mario Draghi ha suonato la campanella, non quella che tradizionalmente accompagna il cambio a palazzo Chigi (del resto non c’è nessuno a cui passare il fardello per il momento), piuttosto la campanella che lancia l’allarme. Se non si fanno le riforme che ancora mancano, il Pnrr si blocca, i soldi non arrivano e allora addio.
È quel che il capo del governo ha detto ai suoi ministri convocati senza preavviso. È quel che ha scritto alla presidente del Senato Elisabetta Casellati chiedendole di fare tutto il possibile perché “è necessario approvare non solo il disegno di legge annuale sulla concorrenza e sul mercato, ma anche i relativi strumenti attuativi”. È quel che ha voluto discutere con Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, esponente di punta della Lega, con il quale si è intrattenuto per più di un’ora fuori dalle cantine della Valpolicella. Tre gesti inusuali per sbloccare una situazione nient’affatto usuale.
Il braccio di ferro sulle concessioni balneari, infatti, si presenta come un’occasione costruita ad arte, al di là degli interessi che si vogliono tutelare, per indebolire il Governo e isolare Mario Draghi. E non è l’unica. C’è il sostegno all’Ucraina e l’invio di armi, una questione cruciale di politica estera diventata un discrimine di politica interna.
Le posizioni dei partiti non coincidono nel merito, sulle spiagge M5s sta più con Draghi che con Lega e Forza Italia, sulle armi sta con Salvini mentre il partito di Berlusconi si mostra diviso tra gli atlantisti e i filo-putinisti. Ma queste geometrie variabili finiscono per convergere verso un punto comune: preparare la caduta del Governo. Gira voce che si voglia aprire una crisi estiva che può diventare balneare, con la riconferma di un esecutivo indebolito (ammesso che Draghi lo accetti) oppure letale, con lo scioglimento delle Camere ed elezioni in autunno. Allo stato attuale sembra un ballon d’essai, ma non è detto che non prenda corpo se la situazione economica peggiora e la guerra in Ucraina non finisce in tempi ragionevolmente certi.
La congiuntura economica s’è fatta preoccupante anche se non c’è recessione né in Italia, né in Europa, tanto meno in America che continua a crescere anche più della Cina. Per ora siamo di fronte a un rallentamento, più forte del previsto, come mostrano le previsioni del Fondo monetario e dell’Unione Europea, nessuno comunque può dire se e quando la frenata ci fermerà.
Nel frattempo l’inflazione che fino a poco fa era una minaccia è diventata realtà e ha peggiorato le aspettative, le borse sono inquiete, i risparmiatori sono impauriti, i redditi da lavoro non tengono il passo dei prezzi nemmeno là dove aumentano i salari contrattuali. Se cade la domanda, allora sì che inflazione e ristagno si sposano dando corpo allo spettro della stagflazione. A quel punto non c’è più ripresa, tanto meno resilienza.
Il Pnrr, dunque, è stretto in una tenaglia: da un lato la congiuntura internazionale, dall’altro le tensioni nazionali che colpiscono il Governo. Nel primo semestre sono stati finalizzati i primi 51 interventi ed è arrivato l’assegno di 21 miliardi di euro. Tuttavia, le misure a scadenza intermedia sono state realizzate solo al 69% secondo la Corte dei Conti. Nel secondo semestre occorre realizzare 45 misure divise tra le missioni uno e due (digitalizzazione e rivoluzione verde) e la missione tre (le infrastrutture). La guerra in Ucraina mette in discussione tempi e modi della transizione energetica, mentre l’inflazione minaccia concretamente i cantieri perché la lievitazione dei prezzi e la relativa scarsità di alcune materie prime richiedono molto più che un “tagliando”.
A tutto questo s’aggiungono le due riforme da realizzare, conditio sine qua non del piano: la concorrenza e il fisco. Sulle tasse l’intreccio perverso di divergenze sui contenuti e divisioni politiche è persino peggiore. Dopo le tensioni sulla riforma del catasto arrivano “le bandierine” per usare un’espressione di Draghi. Qui le geometrie variabili della maggioranza cambiano di nuovo con Lega e Forza Italia in sintonia sul no a qualsiasi aumento delle imposte e su una riduzione delle aliquote medo-alte, il M5s che batte il tasto di tassare i ricchi (trovando su questo sostegni a sinistra) e un Pd sostanzialmente allineato con la prudenza di Draghi e oscillante tra la posizione dei sindacati i quali chiedono priorità ai redditi da lavoro dipendente e quella degli imprenditori che puntano sul cuneo fiscale.
Il capo del governo ha cercato di stemperare le tensioni con un rinvio delle decisioni concrete al prossimo anno, una volta raggiunto un minimo comune denominatore sulla forma più che sulla sostanza. Ma la tattica temporeggiatrice non regge. Non ci sono margini per piccole revisioni mese dopo mese, e prende corpo la tentazione di anticipare la Legge di bilancio. A quel punto davvero si arriverà allo showdown, la prova decisiva per capire se la legislatura arriverà o no alla sua scadenza naturale.
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