Il turismo costiero è un pezzo importante della blue economy italiana, anche per quel che riguarda l'occupazione
Ferragosto, tempo di vacanze al mare! Come ogni anno, quando le temperature si alzano e l’estate si palesa appieno, l’Italia sembra rispondere con una sola esigenza: mettersi in viaggio verso le coste.
Immaginiamo i treni carichi di famiglie e trolley, le colonne di auto in autostrada e i traghetti che salpano a pieno regime verso le isole. In questo via vai di gente c’è la voglia di mare, ma se si guardano i numeri c’è un pezzo importante dell’economia nazionale. E quest’anno, in base al report dell’Enit, la stagione 2025 è partita alla grande con un +17,9% di richieste rispetto al 2024 e con oltre 10,6 milioni di prenotazioni internazionali confermate già a inizio estate.
Fra tutti i settori dell’economia del mare, se considerassimo solamente le prenotazioni alberghiere tra giugno e settembre arriviamo alla ragguardevole cifra di 15 miliardi di euro. Ma i numeri del turismo costiero non si riducono a file ordinate di ombrelloni e lettini, comprendono assai di più. Ad esempio, in Europa se ci basiamo sul report di maggio scorso della Commissione Ue, il turismo costiero vale il 33% del valore aggiunto lordo dell’economia del mare e conta il 53% dell’occupazione dell’intero settore. Mentre l’Italia da sola pesa circa il 10% dell’occupazione costiera dell’intera Ue, terza rispetto alla Spagna e alla Grecia, ma davanti alla Francia.
Accanto al turismo costiero tradizionale, si sta sviluppando una nuova tendenza che consapevolmente sta rivoluzionando il modo di fare vacanza: cresce sempre più l’esigenza di fare esperienze a contatto con la natura, apprendere gli ecosistemi marini, divertirsi senza danneggiare l’ambiente anzi, dove si può migliorarlo. Si chiama turismo rigenerativo, nato da poco può però cambiare tutto.
Prendiamo Punta Campanella, in Campania: 35 boe ecosostenibili che preservano i fondali dalle ancore delle barche private che normalmente strappano la posidonia, un vegetale fondamentale per l’ecosistema marino. Una semplice accortezza che potrebbe salvare i fondali e proporre un servizio di ormeggio diverso e di qualità. Oppure pensiamo di trasferiamoci alle Isole Egadi, in Sicilia, dove vengono protette praterie di posidonia per oltre 12.000 ettari, un patrimonio naturale dove l’accesso è regolato e sono stati creati percorsi per diving e snorkeling con guide qualificate e persino attività di educazione ambientale.
Il risultato sinora? Fondali più sani e turisti entusiasti di vivere un’esperienza diversa dal solito. Anche in Puglia, Torre Guaceto rientra pienamente nelle località della Carta europea del turismo sostenibile avendo intrapreso forse la strada più radicale: accessi contingentati e bus navetta obbligatori per raggiungere la spiaggia. Sicuramente una protezione massima delle dune e delle acque, che riesce ad azzerare l’attesa ai servizi e a garantire una totale gestione del flusso turistico.
Altra storia il marchio Bandiera Blu. La famosa certificazione dei luoghi balneari più puliti, nell’ultimo sondaggio del Fee Italia (Foundation for environmental education), del 2025 vede l’Italia con 246 località premiate Bandiera Blu (dieci in più rispetto al 2024), 487 spiagge e 84 approdi certificati. Le nostre regioni sul podio sono Liguria, Puglia e Calabria.
Sicuramente il dato che colpisce di più, diffuso a maggio 2025, è che il nostro Paese detiene addirittura l’11,5% delle spiagge premiate a livello mondiale dando così un segnale forte all’offerta internazionale turistico-costiera, poiché il turista straniero associa l’assegnazione della Bandiera Blu a località dove si può trovare l’acqua cristallina e servizi efficienti.
L’altra faccia della medaglia, del turismo costiero italiano è la sfida della stagionalità. Innegabile che luglio e agosto non abbiano bisogno di promozione: le località balneari lavorano tutte a pieno regime. Ma se considerassimo i numeri economici del resto dell’anno? Lo sanno bene gli albergatori e i ristoratori, la stagione è sempre più corta e fatta di weekend mordi e fuggi. Ormai si sente sempre di più che occorre “destagionalizzare”.
Pochissimi comuni, soprattutto al sud Italia, ci sono riusciti e solo dove si sono create offerte che rispondo ad esigenze green come cammini costieri, cicloturismo lungo le litoranee, eventi culturali legati al mare, birdwatching e altre attività esperienziali, si è registrato un +20% di presenze nelle stagioni di mezzo rispetto al 2020 (dati Enit).
Il nostro mar Mediterraneo, fulcro dell’economia del turismo costiero, deve poi fare i conti con il riscaldamento climatico, purtroppo si scalda più in fretta della media mondiale, raggiungendo ai primi di agosto i 30 gradi (record in negativo segnalato dall’Unesco) con impatti importanti sulla sua biodiversità. In Italia abbiamo 39 Aree marine protette che possono essere considerate d’esempio per la tutela ecologica e replicate come proposta turistica.
Infatti, le Nature-based Solutions (soluzioni naturali a problemi ambientali) come dune o barriere vegetali, ripristino della posidonia – sono molto caldeggiate dalla Comunità europea – moltiplicano fino a 3,5 volte l’investimento iniziale (dati Commissione europea), grazie anche all’attrattività turistica che generano.
Quindi quale sarà il turismo costiero del futuro? Potrebbe assomigliare a un “pacchetto vacanze green-blu rigenerativo” centrato su immersioni guidate, esperienze di ecoturismo, degustazioni di pescato locale, visite a centri di ricerca e protezione marina. Non dimentichiamo che il mare è sì il luogo di vacanze per eccellenza, ma soprattutto un ecosistema meraviglioso che se trattato con cura, potrà darci lavoro e reddito e continuerà a farci stare bene, al di là di qualsiasi dato statistico.
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