Il ministro dell’Economia ha criticato le privatizzazioni compiute nel passato, rimpiangendo anche le vecchie Banche di interesse nazionale. Il pensiero liberale di Tremonti sembra definitivamente scomparso. Perché?
Facendo la cronaca della conferenza stampa seguita al consiglio direttivo dell’Assolombarda di lunedì 12 ottobre, la Repubblica ha criticato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ne è stato protagonista. Lo ha attaccato per i suoi giudizi negativi sulle privatizzazioni, per le sue esplicite parole di rimpianto verso certe presenze passate dello Stato nell’economia, in particolare nel settore bancario. «Una volta c’erano le tre Bin – ha detto il ministro – e mi pare andassero molto bene». E ha rincarato: «Avete voluto spacchettare l’Enel? Avete visto i risultati in bolletta. Avete voluto privatizzare Telecom? Guardate quello che è successo. E le Autostrade? Lasciamo perdere».
Insomma, era meglio quando c’era lo stato imprenditore? Quando alla guida delle aziende c’erano i boiardi? Quando padroni del credito erano le Casse di Risparmio o comunque gli istituti pubblici, a partire dalle banche di interesse nazionale (le Bin, appunto) i cui vertici erano frutto della spartizione fra partiti politici?
Questo, o qualcosa di molto vicino a questo, è sembrato dire lunedì il ministro. E la Repubblica gli ha subito fatto notare la sua netta contraddizione rispetto a quanto lui e la sua area politica di appartenenza hanno sostenuto con grande convinzione fino a tempi recentissimi. Per esempio, ha scritto il giornale, il programma del Polo del 1996 prevedeva di “privatizzare il totale delle imprese pubbliche”. E ancora: nel 2001 il ministro dichiarava di “essere pronto a privatizzare Poste e Ferrovie”. Ma non basta, perché nel 2004 si vantava così: “Nel periodo in cui ho servito il Paese come ministro dell’Economia l’Italia ha operato circa un terzo di tutte le privatizzazioni mondiali e ha centrato il record europeo delle cessioni di Stato”.
Che cosa è successo? Tremonti, noto per il suo carattere un po’ impulsivo e per essere amante della polemica, si è semplicemente tolto un sassolino dalla scarpa attaccando gli attuali signori del credito, con in testa UniCredit e Intesa, rei di aver snobbato i suoi bond? Oppure, semplicemente, ha cambiato idea, il colbertismo ha preso il sopravvento sul pensiero liberale?
Certo un po’ di risentimento nei confronti di Alessandro Profumo e di Corrado Passera c’è, ed è comprensibile. Di fronte alla crisi dei mercati, il ministro, come tanti suoi colleghi in giro per il mondo, ha predisposto misure di soccorso per le banche a rischio di default, e non c’è da sorprendersi che ci sia rimasto male vedendo che a utilizzarle sono stati solo pochi istituto minori.
Però non è solo questo. Le privatizzazioni comportano – è un’ovvietà – che ci sia un gran numero di privati ansiosi di comperare a prezzi di mercato quanto lo Stato mette in vendita e soprattutto capaci di gestire tutto questo. Da questo punto di vista, la cronaca economica è scoraggiante. A confermarlo basterebbe un dettaglio: Tremonti lunedì scorso ha parlato, come si è detto, al Consiglio dell’Assolombarda, la prima associazione imprenditoriale-territoriale italiana.
E chi è il presidente di questa associazione di industriali? Alberto Meomartini, un manager pubblico, avendo fatto tutta la sua carriera nell’Eni, azienda ancora oggi controllata dal Tesoro. Meomartini è degnissimo di ricoprire la poltrona di numero uno dell’Assolombarda. Ma questo non toglie che i privati non siano riusciti a trovare al loro interno qualcuno in grado di rappresentarli.
Ed è anche innegabile che i privati, quando sono subentrati allo Stato nella proprietà e nella gestione di imprese, abbiano dato spesso prove sconfortanti. Il caso di Telecom Italia, ormai svuotata e destinata prima o poi a passare sotto controllo estero, non ha bisogno di molti commenti. È stata una grande occasione mancata.
Però nel settore bancario le cose sono andate in maniera diversa. Per anni si è detto che il settore bancario italiano era fatto di nani e che anche noi avremmo dovuto avere dei gruppi di dimensioni adeguate alla concorrenza internazionale. Questi gruppi, oggettivamente, sono nati dopo le privatizzazioni e hanno saputo reggere alla crisi come molti altri all’estero. E ora non ricorrono agli aiuti dello Stato, ai Tremonti bond, semplicemente perché costano cari, e sul mercato si trovano risorse a prezzi più convenienti. E francamente è difficile rimpiangere i tempi in cui i banchieri preferivano (o dovevano) ignorare il mercato e ascoltare invece le segreterie dei partiti.
