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Home » Economia e Finanza » Industria » FIAT/ Quanto ci stanno costando gli errori degli Agnelli?

  • Industria
  • Economia e Finanza

FIAT/ Quanto ci stanno costando gli errori degli Agnelli?

Gianni Gambarotta
Pubblicato 11 Febbraio 2010
Fiat_logoR375_27ott08

Sembra che gli incentivi auto non verranno rinnovati, ma cosa succederà a Termini Imerese? Come si provvederà a sistemare i lavoratori siciliani? Quello di Fiat è comunque l'ennesimo caso di impresa sussidiata dallo Stato italiano. VOTA IL SONDAGGIO

Molti pensano che l’annuncio del governo di non voler rinnovare gli incentivi all’auto per il 2010 debba essere visto e giudicato nell’ambito del braccio di ferro che da tempo lo contrappone alla Fiat sulla vicenda dello stabilimento di Termini Imerese che la casa guidata da Sergio Marchionne ha deciso – irrevocabilmente – di chiudere al più presto.


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E può darsi che sia così: che il ministro dello sviluppo, Claudio Scajola, ricorra anche a questo strumento di pressione per convincere il Lingotto a tenere una linea più sensibile alle esigenze sociali e politiche nel definire le sue strategie industriali future. E se il manager con il maglione dimostrerà maggiori aperture, allora, alla fine, gli incentivi potranno anche arrivare. Magari un po’ più in là, in modo da non coprire tutto l’anno e pesare, così, di meno sulle casse pubbliche.


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Può darsi, si vedrà. Tuttavia quello che oggi si può dire è che il futuro dell’insediamento siciliano è segnato, nel senso che sicuramente non rientrerà più nel perimetro della Fiat. Su questo Marchionne è stato esplicito: gli impianti italiani sono i meno produttivi fra tutti quelli che la casa torinese possiede nel mondo, in particolare in Brasile e in Polonia. E quello di Termini Imerese è lo stabilimento peggiore fra gli italiani. Di qui la conclusione e l’annuncio della chiusura.

Le polemiche su questa scelta della Fiat sono state (e sono) durissime. I più ricordano la quantità di aiuti di cui la Fiat ha goduto nel corso degli anni: il ministro Brunetta, con il suo consueto gusto per le battute, ha detto che con quello che lo Stato italiano ha versato negli ultimi 20 anni, si sarebbe potuto comprare due o tre volte l’azienda. Il presidente di quest’ultima, Luca Cordero di Montezemolo, ha risposto piccato “noi non abbiamo mai preso nulla”: ma forse qui gli è mancata un po’ di memoria storica.


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Gli aiuti alla Fiat ci sono stati, è innegabile. Però va anche detto che tutta la storia del capitalismo privato italiano ha molte pagine scritte con l’inchiostro del sussidio. Vogliamo ricordare, tanto per fare qualche esempio, l’Olivetti di Carlo De Benedetti, con le amministrazioni pubbliche che compravano i suoi prodotti obsoleti destinati a finire nelle cantine? O lo Stato che assumeva i lavoratori in eccesso degli stabilimenti del gruppo di Ivrea?

Vogliamo ricordare che cosa fu fatto per convincere la Parmalat di Calisto Tanzi ad andare a produrre nel collegio elettorale di Ciriaco De Mita? Una gran parte dell’iniziativa industriale nel Sud, pubblica o privata, è stata, per così dire, sempre agevolata con risorse finanziarie statali. Anche la Fiat; anche Termini Imerese. Ma anche Melfi: quando si trattò di costruire un nuovo, grande impianto per produrre la Punto cui era affidato l’ennesimo rilancio della casa torinese, questa minacciò (molto probabilmente in maniera strumentale) di andare in Portogallo perché il governo di Lisbona era più generoso di Roma. E ottenne quanto voleva.

 

E questi sono esempi del passato. Ma non è che le cose siano cambiate con il tempo. Prendiamo l’Alitalia-Cai. Qui aiuti pubblici diretti alla cordata di salvatori italiani guidati da Roberto Colaninno non ci sono stati, nel senso che il Tesoro non ha tirato fuori dei soldi per sovvenzionarla. Però ha addirittura modificato una legge per garantire tre anni di monopolio sulla tratta più remunerativa, la Milano-Roma, scaricando i costi sugli utenti. Non è un sussidio anche questo? La realtà è che gli imprenditori italiani di qualsiasi settore, chi più e chi meno, sono sempre stati dei grandi prenditori di denari pubblici.

 

Ora con il caso di Termini Imerese, la questione si ripropone. Il ministro Scajola ha detto di avere sul tavolo diverse proposte di gruppi, anche stranieri, che vogliono subentrare alla Fiat. Si è parlato di costruttori asiatici, di auto elettriche, di partnership con nomi blasonati come la Renault. Benissimo. Ma non siamo ingenui. Se un gruppo internazionale accetta di venire a produrre in Italia, con i costi italiani e le condizioni italiane, è perché ha individuato qualche potenziale vantaggio extra-mercato. E non è che si tratterà anche questa volta di aiuti pubblici?

Tags: TelecomFiat Stellantis Chrysler

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