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Home » Economia e Finanza » IL CASO/ Così il fallimento di Monti sulle province può diventare una vittoria

  • Economia e Finanza

IL CASO/ Così il fallimento di Monti sulle province può diventare una vittoria

Robi Ronza
Pubblicato 10 Dicembre 2012
infophoto_regioni_province_accorpamento-cartina_italia_R439

Infophoto

L’ingorgo legislativo e le prossime dimissioni di Monti rischiano di far naufragare il dl sulle Province. Che era incostituzionale. Una riforma però ci vuole; la spiega ROBI RONZA

Sommandosi all’eccezione di incostituzionalità sollevata dal Pdl con riguardo al decreto in materia, nonché ad analoghe iniziative imminenti o già assunte in varie sedi, le dimissioni preannunciate sabato scorso dal presidente del Consiglio Mario Monti sembrano aver definitivamente affossato la riforma delle Province, uno dei più maldestri provvedimenti del governo ora al tramonto.


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“In quanto a funzioni e  governo politico le Province meritano senza dubbio di venire riformate. Salvo alcuni pochi casi invece il loro accorpamento è soltanto una perdita di tempo, un danno per l’economia e la società nonché uno spreco di denaro pubblico: ovvero l’esatto inverso di quanto pretende il governo Monti, anche in questo caso più che mai ostaggio del peggio della burocrazia ministeriale”. Mi permetto qui di ridire testualmente quanto già scrivevo su queste pagine lo scorso 28 ottobre, poiché da allora a oggi in sintesi non c’è niente da aggiungere, se non che si è perso del tempo (e sarebbe comunque stato meglio non perderlo), ma almeno non c’è stato il tempo per fare altri danni. 


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Ciò detto il problema resta, essendo pur vero che le Province meritano di venire riformate, ma va affrontato in ben altri modi. Nell’immediato l’ultima cosa da fare è quella di variarne il territorio. Salvo forse il caso delle minuscole nuove province sarde, cui però a norma della sua speciale autonomia è la Sardegna che deve pensare, e salvo quelle coinvolte nel processo di formazione delle città metropolitane (se mai si faranno), è meglio lasciarle sussistere tutte quante col territorio che hanno. A un risparmio di spesa in tempi brevi e senza sconquassi si potrebbe piuttosto puntare riformulandone le funzioni, e quindi la fiscalità; e riducendo il numero dei membri sia dei loro consigli che delle loro giunte. 


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A valle di risparmi possibili in tempi brevi a sistema invariato, si potrebbe e anzi si dovrebbe invece porre mano a una ragionata riforma delle Province, o meglio del livello di governo intermedio tra Comuni e Regioni, che peraltro non è detto sia indispensabile ovunque. Già in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste la provincia non esiste; e probabilmente non ce n’è bisogno in Umbria e nemmeno nel Molise e in Basilicata. Senza tornare su argomenti già sufficientemente approfonditi nell’articolo più sopra citato, dirò che se si vuol fare davvero una seria riforma del livello di governo intermedio occorre in primo luogo liberarsi dall’idea che il modello della provincia di eredità sabauda, il quale in effetti è un ricalco del dipartimento francese, sia l’unica possibile risposta al problema. Come ogni altra eredità istituzionale della rivoluzione francese e dell’epoca napoleonica, anche il nostro livello di governo intermedio è segnato dal marchio di una pretesa simmetria, di un’astratta omogeneità e di un’ineludibile assoggettamento amministrativo di ogni porzione di territorio a una città capoluogo. Un modello  più che mai in contrasto con la grande varietà storica, geografica e culturale che caratterizza l’Italia. 


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Nella prospettiva di un’autentica riforma del livello di governo intermedio tra Comune e Regione varrebbe allora piuttosto la pena di studiare il caso di un Paese come la Germania, rimasto largamente immune dall’influsso napoleonico di cui si diceva. Per conseguenza e significativamente in Germania tale livello di governo non esiste ovunque (le città-stato di Amburgo, Brema e Berlino non ce l’hanno); e soprattutto laddove esiste non è tuttavia uniforme. Si danno in sostanza tre casi: 1. quello dei territori che non gravitano attorno a una città, oggi 323, il cui livello di governo intermedio è il Circolo o Circondario territoriale o Landkreis (detto, in alcuni Länder, Kreis); 2. quello della città extra-circondariale (kreisfreie Stadt) che in quanto a competenze è nel medesimo tempo Comune e Circondario; 3. quello dei circondari urbani (Stadtkreis) in cui la città capoluogo ha anche competenze che altrove sono circondariali. 


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Nei Circondari territoriali (Landkreis) di alcuni Länder esistono poi delle Unioni di Comuni  (Kommunalverband) con competenze diverse. Il loro status giuridico peraltro varia secondo l’ordinamento del Land cui appartengono. Possono essere sia enti territoriali (Gebietskörperschaft) veri e propri, o anche semplici enti di diritto pubblico (Körperschaft des öffentlichen Rechts) con limitate funzioni amministrative. Infine, diversamente che da noi, aree disabitate e specchi d’acqua interni possono anche essere territori extracomunali (geimeindefreies Gebiet) ossia non rientrare nel territorio di alcun Comune. E non è un caso raro: ce ne sono infatti circa 250. 


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Complicato? No, adeguato alla varietà delle situazioni. Complicatissimo e inefficiente se organizzato e controllato dalla capitale, ma semplicissimo ed efficiente se organizzato e controllato sul posto da governi locali responsabili di fronte ai loro elettori non solo dei modi e dell’entità della spesa, ma anche dei modi e dell’entità del prelievo fiscale.

 

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