“L’Abenomics funziona” (Repubblica, 16 maggio). “Ma il vero rischio è l’Abenomics” (Repubblica, 24 maggio). Repubblica non c’entra, è solo un esempio. Hanno, abbiamo titolato tutti così. Mettendo nero su bianco che continuiamo a non (voler) capir nulla dell’interminabile (post)crisi: non preoccupandoci neppure più di cambiare radicalmente opinione su un macro-fatto globale a distanza di otto giorni. Ma chissà, forse – a modo nostro – abbiamo capito tutto, tanto che lo mettiamo nero su bianco. L’espansionismo monetario, la spesa pubblica in deficit, le svalutazioni competitive servono a gonfiare il Pil nel breve, brevissimo periodo: ma questo lo sapevamo già. Così come sappiamo che – comprensibilmente – questo è quello che vogliono i governi premuti dagli elettorati sfiancati dalla recessione, indotta da una crisi finanziaria che ha mandato all’aria i bilanci statali per salvare le banche “troppo grandi per fallire” e richiesto iniziale austerity fiscale, inizialmente benedetta da tutti i G20 e i Fondi monetari.
Traffico autostrade weekend 26-28 luglio 2024/ Sabato critico, domenica da doppio bollino rosso
Quello che mostriamo di non voler intendere è che i mercati finanziari seguono a modo loro. Sono loro – più di imprese e consumatori, perfino più degli Stati neokeynesiani – a intercettare al volo i macro-flussi di liquidità messi in circolo dalle banche centrali con la motivazione (il pretesto?) di stimolare la ripresa e la crescita. È l’oligopolio finanziario che coglie in tempo reale il clima-annuncio del monetarismo espansionista e qualche macro-cifra “da vetrina” e investe massicciamente sui listini, facendo salire quotazioni e indici. Fino a che uno speculatore professionale non può non “prendere beneficio” (per sé e per i propri clienti) e la micro-economia reale dei mercati finanziari provoca scossoni (come quelli dell’altro giorno a Tokyo).
Recupero detrazioni fiscali anni precedenti/ Come farlo senza perdere soldi (ultime notizie 26 luglio 2024)
Giovedì il presidente della Bce, Mario Draghi, ha detto a Londra che «l’Europa ha ancora bisogno della City». La coerenza intellettuale del liberista Draghi è come sempre apprezzabile: ma l’Europa (e forse neppure il Giappone) oggi non ha – più – bisogno di mercati finanziari tanto grandi da non poter essere fronteggiati nella loro pretesa – strutturalmente fondata e quindi legittima – di “prendere beneficio” sempre dalle “asimmetrie” delle economie reali (imprese, consumi, circuiti di finanza pubblica). Come in altri appunti di questa rubrica, non si tratta di moralismo anti-mercato: è – ancora una volta – una constatazione e un tentativo analitico.
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Lo abbiamo scritto in tempi non sospetti e lo ripetiamo a rischio di provocazione: la Merkenomics ha basi politico-economiche rigorose (con la moneta non si gioca, le finanze pubbliche devono essere equilibrate, le Aziende-paese devono essere competitive nei loro fondamentali di efficienza, flessibilità, qualità e innovazione). L’Obanomics (o meglio, la Bernankenomics) è invece oggettivamente servita solo a salvare i conti e le poltrone dei banchieri di Wall Street che hanno trasferito la crisi finanziaria provocata da loro sulle loro vittime (Grecia) e profittando poi dei tentativi europei di risanare l’eurozona per via fondamentale per atterrare altri sistemi-Paesi deboli (l’Italia è stato il caso più eclatante).
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Anche in questo caso non formuliamo un giudizio (tanto meno polemico), ma un appello sì: smettiamola di accettare come fatto ineluttabile gli interessi dei mercati che continuano un atto puro e semplice di competizione politico-economica. E cessiamo di pensare che il “nemico” – almeno non quello principale – sia la Germania al centro dell’Europa.
Proprio da qui, in questi giorni, sta avanzando (controcorrente, ad esempio, rispetto a Basilea 3) una riforma del sistema bancario che punta a separare le attività di intermediazione del risparmio verso il credito alle imprese da quelle di investimento sui mercati, di portafogli propri e di ricchezze finanziarie private. Un tentativo economicamente pragmatico e politicamente mirato che viene subito bollato come ideologico e restauratore rispetto a “interessi del mercato” dati ancora per indiscutibili quattro anni dopo il crac Lehman.
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Se le dimensioni reali, collettive, istituzionali delle democrazie economiche non si riprendono almeno un po’ di quella sovranità che – right or wrong – hanno ceduto negli ultimi trent’anni ai mercati finanziari divenuti egemoni, noi giornalisti continueremo a scrivere un giorno che tutto va bene perché il Pil trimestrale “da segni di ripresa” e la Borsa “vola” e il giorno dopo a titolare che “siamo sul baratro, eccetera eccetera”. Fino a che, sempre meno virtualmente entro i confini familiari di una stessa casa, un giovane disoccupato accoltellerà il padre che con lo spread a 575 ci ha guadagnato.
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