FINANZA/ Il “finto” Def che serve a Renzi per vincere le elezioni
Il Def varato dal Governo, spiega GIUSEPPE PENNISI, servirà sino alle elezioni regionali. Dopodiché verrà riscritto da cima a fondo per arrivare alla Legge di stabilità

In un contesto in cui si stabilizzano 100.000 “precari” della scuola, e per incoraggiare la trasformazione di contratti un tempo chiamati “atipici” in contratti a tutele crescenti si aggravano i contributi sulle imprese (penalizzandone la competitività), non deve scandalizzare che si scovi qualche nuovo “precario”.
Il Governo ha puntato sulla “precarizzazione” del binomio Def-Pnr la cui vita durerà, più o meno, sino alla elezioni regionali per poi essere rifatto da cima a fondo al fine di produrre una documentazione che serva il vero obiettivo delle norme che lo hanno istituito: predisporre, all’inizio dell’autunno, il disegno di legge di stabilità.
Non dobbiamo dimenticare che il Def è nipote di quei documenti entrati in vigore con caratteristiche e tempistica differente in quasi tutti gli Stati dell’Unione europea negli anni Settanta. Lo scopo era ed è di fondare la preparazione dei bilanci di previsione degli Stati su una discussione parlamentare (e nell’opinione pubblica) sugli obiettivi e strumenti di finanza pubblica. La crisi internazionale dell’inizio degli anni Settanta, i cambi fluttuanti, l’aumento dei corsi delle materie prime fecero correttamente ritenere che i bilanci di previsione degli Stati sarebbero dovuti essere pluriennale e dovessero essere basati su una politica economica condivisa o almeno discussa in Parlamento e nell’opinione pubblica. Poco più di cinque anni fa venne deciso a livello europeo di coordinare tempistica e presentazione dei contenuti al fine di facilitare la convergenza delle politiche economiche degli Stati dell’Unione europea verso i comuni obiettivi sanciti nel Fiscal Compact.
I Def-Pnr di numerosi Stati Ue presentati in queste settimane sono consultabili on line. Basta sfogliare la stampa straniera per constatare che nessuno è stato accompagnato dallo psicodramma che ha caratterizzato gli ultimi giorni della preparazione di quello italiano. Uno psicodramma voluto (con la buffa trovata finale del “tesoretto”) per tenera desta l’attenzione in vista delle imminenti elezioni regionali. Uno psicodramma che però costa caro – come pare abbiano detto alcuni Ministri al Presidente del Consiglio – perché aumenta l’incertezza di gran parte degli italiani.
Ma andiamo ai punti essenziali (tralasciando il “tesoretto” ampiamente analizzato su queste pagine). In primo luogo, il punto chiave del Def riguarda le previsioni degli andamenti dell’economia reale. Si legge che il Presidente del Consiglio abbia scritto di proprio pugno 0,7% per la crescita del Pil nel 2015, già quasi giunto al quinto mese dell’anno. I “gufi” dicono che si sarebbe infischiato delle elaborazioni (meno ottimistiche) del ministero dell’Economia e delle Finanza e dell’Istat.
In effetti, basta studiare le previsioni pubblicate l’8 aprile del così detto “gruppo del consenso” , i 20 maggiori istituti internazionali di econometria (tuti privati, nessuno italiano): la crescita del Pil viene data in media allo 0,5% (tanto da mangiarsi ampiamente il “tesoretto” elettorale), ma lo scarto è molto ampio e non è improbabile che, se si continua innervosendo consumatori, lavoratori e imprese, si realizzi un pallido 0,3%. A questo punto, scatterebbe la “clausola di salvaguardia” con un aumento dell’Iva che ci ricondurrebbe in recessione. I tecnici di palazzo Chigi e di via Venti Settembre lo sanno. Quindi, stanno già lavorando a un nuovo Def (denominato “aggiornamento”) dopo elezioni regionali il cui esito (quale esso sia) verrà presentato come la “sconfitta dei gufi”.
La situazione potrebbe comunque aggravarsi in autunno se, come probabile, la Federal Reserve americana aumenterà i tassi d’interesse con ripercussioni che non potranno non farsi sentire sul continente vecchio.
Che il Def abbia la precaria e breve durata di una campagna elettorale lo mostra quel Pnr di cui nessuno parla e che dovrebbe contenere gli argomenti forti dell’Itala nel discutere e contrattare con l’Ue. Mentre i Pnr “degli altri” hanno un capitolo sulla valutazione dei risultati delle riforme attuate o messe in cantiere negli ultimi cinque anni (o giù di lì), nel Pnr dell’Italia non c’è nulla di analogo, ma si presenta un elenco rinfrescato di quanto proposto circa un anno fa.
Quindi, shakespearianamente, Molto rumore per nulla.
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