Gli occhi dei mercati finanziari sono puntati sull’Italia, dopo l’approvazione definitiva della manovra a Montecitorio. Secondo la Bce, nell’ultimo Bollettino del 2018, l’Italia, tra tutti i Paesi europei, è il più esposto alla volatilità dei mercati, soprattutto alla luce della revisione al ribasso di tutte le stime di crescita e di un’attività economica a livello globale che potrebbe decelerare nel 2019, una prospettiva non certo incoraggiante per un Paese esportatore come il nostro. Inoltre, a creare ulteriore instabilità sono il venir meno del sostegno fornito dalle politiche espansive nelle economie avanzate e l’impatto delle tensioni sui dazi tra Usa e Cina. Insomma, considerando anche incognite e sorprese legate alle sorti di Wall Street, il quadro per Piazza Affari e titoli di Stato italiani non si presenta certo roseo, non è vero? “Se la Bce si fosse fermata a queste considerazioni – ribatte Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Trend Financial Analysis (Ftaonline) – in questo momento probabilmente staremmo guardando le quotazioni dello spread Btp-Bund a 300 punti base o più”.
E invece?
Per fortuna, oltre al bastone, la Bce ha usato anche la carota, con l’intento probabilmente di tenere a bada gli “squali” della speculazione che altrimenti avrebbero potuto iniziare nuovamente a sentire l’odore del sangue. La Banca centrale continua ad attendersi tassi sui minimi storici almeno fino all’estate del 2019 e in ogni caso finché necessario per assicurare che l’inflazione continui stabilmente a convergere nel medio termine su livelli inferiori, ma prossimi al 2%.
Il Quantitative easing, però, termina a fine 2018, a quattro anni dal suo avvio…
Sì, ma al tempo stesso la Bce intende continuare a reinvestire integralmente il capitale rimborsato sui titoli in scadenza per un periodo di tempo prolungato e in ogni caso finché sarà necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli. I bond in portafoglio verranno dunque rimpiazzati da altri di uguale valore nominale quando arriveranno a scadenza, e questo per ancora molto tempo. I Btp detenuti attualmente dalla Bce equivalgono al 16% del nostro debito pubblico e a circa il 21% del Pil italiano: un allungamento delle scadenze sarebbe, quindi, un bel regalo per l’Italia. E questo con buona pace di coloro che osteggiano l’appartenenza all’Eurozona. Sarà per questo motivo che recentemente le vendite hanno colpito solo le azioni di Piazza Affari e non le obbligazioni italiane. Le ultime aste dell’anno, infatti, sono andate bene. Ma il supporto della Bce, in caso di dati macro che sconfessassero le previsioni del governo, potrebbe non bastare nei prossimi mesi a evitare un ritorno in massa della speculazione contro la nostra Borsa e i nostri titoli di Stato.
Che cosa dicono i grafici sulle prospettive dei Btp?
I tassi sui Btp a 10 anni sono scesi nelle ultime sedute su un livello critico: hanno infatti ritracciato, con i minimi del 20 dicembre al 2,723%, la metà circa del rialzo dai minimi di maggio, appoggiandosi anche sulla media mobile semplice a 200 giorni. Per il momento, quindi, il trend rialzista, partito dai minimi della primavera all’1,71% circa, non si è ancora invertito. Solo una decisa violazione di area 2,70% potrebbe spalancare la strada a nuovi ribassi, con primo target a 2,50%, altro supporto critico, e successivo al 2,20%. Il superamento del 3%, invece, sarebbe sintomo di un ritorno delle tensioni, per placare le quali potrebbe non bastare il test della prima resistenza rilevante, al 3,35%, ma potrebbe servire un ritorno in area 4%.
A Piazza Affari il Ftse Mib, l’indice principale, chiude in ribasso dopo un buon primo semestre. Che cosa dobbiamo aspettarci a inizio 2019?
L’accelerazione al ribasso del Ftse Mib vista dopo la pausa natalizia riflette probabilmente tutti i punti sollevati dalla Bce, anche se certamente l’indice italiano non è l’unico in calo. Il Ftse Mib, per esempio, giovedì 27 ha ceduto in modo evidente, ma meno del Dax. Per l’indice italiano diventa sempre più probabile uno scenario ribassista, condizionato dalla presenza del “rettangolo” – figura di continuazione del precedente downtrend – disegnato dai minimi di fine ottobre con base a 18.400 circa, ora resistenza in caso di rimbalzi, e limite superiore a 19.680 circa. Il target del rettangolo, ottenuto come proiezione della sua ampiezza verso il basso dal punto di rottura, è a 17.250 circa. A 17.000 si colloca, invece, la base del canale decrescente disegnato dai massimi di maggio. Questo supporto, coincidente con l’ultimo dei ritracciamenti di Fibonacci, il 78,6%, del rialzo dai minimi di metà 2016, è l’ultimo appiglio al quale aggrapparsi per evitare il ritorno in area 15.000. Solo recuperi oltre 18.400 allontanerebbero lo spettro di nuovi cali, senza tuttavia mettere al sicuro il Ftse Mib in ottica di medio periodo. Per questo servirebbe la rottura del lato alto del canale discendente che parte dai massimi di maggio, a 19.880 circa, dove transita anche la media esponenziale a 100 giorni. Difficile immaginare, tuttavia, che il nostro indice possa riprendersi senza che anche il Dax faccia lo stesso.
Come si sta muovendo il Dax?
L’indice tedesco ha violato il 27 dicembre, dopo averlo già fatto il 21 dicembre nell’intraday, con i minimi di quota 10.279 circa il 61,8% di ritracciamento del rialzo dai minimi di febbraio 2016, importante riferimento ricavato dalla successione di Fibonacci. Per invertire la rotta al Dax servirebbe almeno il ritorno all’interno del canale ribassista di più ampio respiro, quello che parte dai massimi di inizio 2018 (linea passante ora a 10.910 circa come la medie esponenziale a 20 giorni) e poi la ricopertura del gap del 6 dicembre con lato alto a 11.177 circa. Sotto 10.250, invece, probabili discese fino a 9.765.
Sarà un anno difficile per i titoli bancari del Ftse Mib?
Come sempre il termometro della situazione sono e saranno le banche. L’andamento di questo comparto condiziona, infatti, pesantemente i movimenti della nostra Borsa per l’elevato peso specifico che riveste all’interno dei panieri azionari.
Cosa segna il termometro del comparto bancario?
Che c’è già qualche linea di febbre, nonostante la recente caduta dello spread, a causa del timore che il sistema creditizio italiano possa essere coinvolto nella messa in sicurezza di Banca Carige. E le perplessità derivanti dallo studio del grafico sono le stesse che riguardano il Ftse Mib.
Perché?
L’indice settoriale, infatti, ha violato il 21 dicembre la base della fase laterale avviatasi dai minimi di fine ottobre, che era praticamente coincidente con l’ultimo dei ritracciamenti di Fibonacci, il 78,6%, calcolati dai minimi di luglio 2016. Diventa ora molto probabile il proseguimento del ribasso verso la linea quasi orizzontale che congiunge i minimi del 2012 e del 2016, in transito a 6.680 punti circa. Sotto quei livelli, poi, i prezzi potrebbero procedere al test in area 5.900 della base del canale decrescente che parte dai massimi di maggio. Solo la rottura del limite superiore di questo canale, coincidente in area 8.700 con la media mobile esponenziale a 100 giorni fornirebbe indicazioni contrarie a quelle ribassiste, prospettando un rimbalzo corposo.
Il prezzo del petrolio potrebbe continuare a restare basso. Ne risentiranno i titoli dei comparti energia e utilities?
Quello dell’energia è l’altro comparto che potrebbe condizionare Piazza Affari con il suo andamento. Il trend discendente del prezzo del greggio ha pesato sul settore negli ultimi mesi e la tendenza ribassista potrebbe non essere ancora terminata. I prezzi del Wti si sono infatti appoggiati il 24 dicembre con i minimi di quota 42,40 dollari su quelli del novembre 2016 e del giugno 2017, un supporto che per il momento ha tenuto, ma che resta pericolosamente vicino ai prezzi attuali. La velocità con cui si è realizzata la discesa dai massimi di ottobre non depone a favore di un’inversione in tempi brevi: in meno di tre mesi i prezzi hanno ritracciato i guadagni dei 16 mesi precedenti. Solo recuperi oltre i 50 dollari potrebbero essere un primo indizio di ripresa, ma per essere relativamente sicuri che non si tratti solo di un rimbalzo tecnico serviranno poi conferme oltre i 55 dollari.
Cosa mostra il grafico dell’indice settoriale Ftse Italia Petrolio e Gas naturale?
Sull’indice è comparso, in conseguenza delle oscillazioni del greggio – e l’indice di correlazione tra le due curve calcolato a un anno al momento è molto elevato -, un “doppio massimo”, disegnato in area 18.800-18.850 a partire dal top di maggio, figura ribassista completata il 23 novembre con la violazione dei minimi di maggio a 16.410 punti circa. La seduta del 27 dicembre ha visto la violazione anche della trendline rialzista che parte dai minimi di febbraio 2016 (base del canale sul cui limite superiore si sono disegnati i massimi di maggio), passante a 15.800 circa. Il rischio di proseguimento del ribasso, con obiettivi a 14.000 circa, verrebbe evitato solo da un pronto ritorno al di sopra dei 16.000 punti e poi di 16.410.
(Marco Biscella)