Settimana pesante, quella che si è chiusa venerdì, per Piazza Affari: -2,28%, peggior listino d’Europa. Con lo spread che ha superato quota 290. E in serata è arrivato il giudizio di Fitch sul rating dell’Italia: confermato il giudizio BBB, ma outlook in peggioramento, da “stabile” a “negativo”. E domani, quando riapriranno le Borse, che cosa dobbiamo aspettarci sul fronte di titoli di Stato e azioni del Ftse Mib? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Magagnoli, co-fondatore di Financial Trend Analysis (FTA online).
Il giudizio di Fitch che impatto avrà sui titoli di Stato italiani, già in tensione negli ultimi tempi?
È doveroso premettere che già l’agenzia di rating Moody’s aveva da poco abbassato le stime di crescita del Pil per l’Italia dall’1,5% all’1,2% per il 2018 e dall’1,2% all’1,1% per il 2019. Secondo Moody’s, l’economia globale resta solida, anche se potrebbe essere in una fase di picco, ma quella italiana nel secondo trimestre del 2018 ha dimostrato una forza inferiore alle attese. E prima di Moody’s anche il Fondo monetario internazionale aveva ridotto le previsioni di crescita a un +1,2% e +1%, segnalando che l’Italia resta vulnerabile alla volatilità del mercato: le grandi esigenze di rifinanziamento del debito sovrano, ma anche di quello bancario, oberato da uno stock ancora elevato di Npl, restano un elemento di fragilità.
Venerdì sera, poi è toccato a Fitch esprimere il suo giudizio…
Fitch non ha portato all’abbassamento del merito di credito, mantenendolo a BBB/stabile, ma ha abbassato a “negativo” l’outlook, Il timore è che le iniziative economiche promesse dal programma di governo possano condurre alla rottura del livello di deficit e che le divergenze tra Lega e M5s rendano sempre più difficili le scelte economiche del Paese.
A questo punto, di fondamentale importanza per valutare gli effetti sul mercato azionario di queste revisioni sarà la nota di aggiornamento al Def che il governo dovrebbe approvare prima della fine di settembre?
Certo. Sulla scorta di queste informazioni, che potrebbero lasciar trasparire il livello di deficit che il governo intende fissare per il 2019, Moody’s, e non solo, potrebbe decidere un downgrade dell’Italia. Se il pacchetto di misure da inserire nel Def dovessero essere tali da creare un deficit ben superiore al 3%, lo spread sicuramente tornerebbe a salire e il downgrading del debito pubblico italiano diverrebbe solo questione di tempo.
Dopo la revisione di Fitch, il settore bancario, che è il comparto più pesante del Ftse Mib, potrebbe andare incontro a una nuova fase di fibrillazione?
Il comparto bancario appare già ora in sofferenza, almeno dal punto di vista grafico.
Perché?
Il mancato superamento, in primavera, della media a 200 settimane aveva bruscamente frenato l’ascesa che l’indice aveva intrapreso dai bottom del 2016, agevolando un doppio massimo che proiettava obiettivi (raggiunti rapidamente) a 10.250. Un movimento che fino a quel momento poteva essere interpretato come fisiologico dopo il precedente corposo rialzo, se non fosse che la successiva ondata ribassista ha sparigliato le carte in tavola, portando alla violazione del sostegno a quota 9.500, dove era posizionato il 50% di ritracciamento del citato rialzo. L’assenza di una reazione credibile e la facilità con la quale i prezzi hanno perso terreno anche nell’ultimo mese, hanno fatto sorgere più di un dubbio sulle possibilità di ripresa nell’immediato. Tra 8.500 e 8.800, riferimenti ormai prossimi, sono presenti gli ultimi supporti potenzialmente in grado di frenare la caduta e dare vita a una reazione che possa quanto meno allentare le tensioni, circostanza che implicherebbe quanto meno il ritorno in area 10.000.
E nel lungo periodo?
Indicazioni di ripresa più attendibili verrebbero generate solo in caso di superamento di quota 10.500. Sotto 8.500, invece, via libera verso i bottom del 2016 in area 6.400, con target intermedio a 7.300 circa.
Piazza Affari, che fino a maggio è stato uno dei listini più performanti, negli ultimi quattro mesi ha perso smalto ed è finita in territorio negativo. Qual è oggi lo stato di salute del Ftse Mib? E quali sono i livelli chiave da tenere d’occhio?
L’indice Ftse All Share è sceso a testare il supporto offerto in area 22.640 dalla media mobile esponenziale a 200 settimane dopo avere violato a inizio agosto quella a 100 settimane, ora passante a 23.500 circa, media che ha sostenuto il mercato per due mesi circa prima di cedere a conferma della sua validità come strumento tecnico. La flessione vista dai massimi di maggio a 26.890 punti circa ha, per il momento, tratti correttivi, ovvero potrebbe dimostrarsi solo un intermezzo del trend rialzista avviatosi a metà 2016 da area 16.545, ma lo spazio a disposizione all’interno del quale muoversi per confermare questo giudizio si riduce rapidamente.
Che margini restano?
Già la violazione dei 22.000 punti potrebbe essere vista come un evento traumatico, dal quale sarebbe difficile risollevarsi in tempi brevi. In quel caso potrebbe essere messo alla prova a 21.730 circa il 50% di ritracciamento del rialzo dai minimi di metà 2016, vero e proprio banco di prova per saggiare le capacità di reazione dell’indice. Rimbalzi da area 21.730 potrebbero infatti dimostrarsi anche estesi – quella percentuale di ritracciamento viene considerata lo spartiacque tra uno scenario correttivo e una vera e propria inversione di trend -, mentre la violazione del supporto renderebbe problematico il recupero di un’intonazione positiva in tempi brevi. La tenuta del supporto di area 22.550/650 e la rottura di 23.600 dimostrerebbero invece che il mercato non si è lasciato incantare dalle sirene ribassiste e che ha voglia di tentare almeno il recupero di area 24.500, quota a metà strada tra i massimi di maggio e i minimi di agosto. Movimenti fino a 24.500 potrebbero non essere risolutivi per ripristinare una tendenza, se non rialzista, almeno laterale; più i prezzi dovessero riuscire ad allontanarsi da quei livelli verso l’alto e più diverrebbe invece probabile almeno il ritorno sui massimi dell’anno.
Chi invece sembra non conoscere soste è la corsa della Borsa americana. Fino a dove potrà arrivare Wall Street?
La cavalcata rialzista dello S&P500 si muove ormai costantemente sopra i 2.900 punti. A sostenere l’indice sono stati anche i buoni dati macro: il Pil del secondo trimestre è risultato superiore alle attese: +4,2% rispetto al consensus a +4%. Le quotazioni si confermano al di sopra del lato alto del canale crescente che sale dai minimi di aprile. La rottura del limite superiore di un canale crescente è un segnale di forza – perché accelera il tasso di crescita dimostrato mediamente da quel mercato fino a quel momento -, che in questo caso potrebbe anticipare movimenti in area 2.915 e successivamente fino ai 2.935 punti. In ottica temporale più estesa, e basandosi sullo studio del tasso medio di crescita dell’uptrend negli ultimi anni, sono ipotizzabili obiettivi fino ai 3650 punti.
Insomma, la tendenza rialzista di fondo dell’indice Usa non appare in discussione?
Solo ripiegamenti al di sotto di area 2.876, base del gap del 27 agosto, introdotti dalla violazione dei 2.890 punti, farebbero temere di essere in presenza di una “bull trap”, cioè di un falso segnale rialzista che potrebbe comportare cali verso 2.851, media mobile esponenziale a 20 giorni, e successivamente fino a 2.828, base del gap rialzista del 16 agosto.
(Marco Biscella)