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Home » Educazione » SCUOLA/ Caro ministro, non basta un clic per educare i giovani

  • Educazione

SCUOLA/ Caro ministro, non basta un clic per educare i giovani

Fabrizio Foschi
Pubblicato 18 Aprile 2012
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Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo (InfoPhoto)

Il ministro Profumo ha anche la delega all’innovazione tecnologica che riguarda tutta la Pa. Occorre però evitare che la scuola sia solo un “file” della futura Smart City. FABRIZIO FOSCHI

L’Atto di indirizzo recentemente firmato dal ministro Francesco Profumo (3 aprile), riguardante le priorità politiche sulle quali concentrare l’impegno del Miur nel 2012, rappresenta un ampliamento e un’attualizzazione del precedente manifesto programmatico del novembre 2011. 

Nel documento di novembre il ministro indicava, per quanto riguarda l’Istruzione, una serie di finalità strategiche, che si possono sintetizzare in obiettivi indirizzati agli ordinamenti e al personale della scuola (riduzione del precariato; attivazione della formazione iniziale dei docenti e di procedure concorsuali; incremento dell’autonomia scolastica) e obiettivi orientati a collegare la scuola con l’ambiente esterno (mondo del lavoro; sistema nazionale di valutazione). Un particolare rilievo, già dal novembre scorso, assumeva l’impiego delle nuove tecnologie sia nella pratica didattica quotidiana, che nell’ottica, cara al ministro, della digitalizzazione dell’insieme delle funzioni amministrative che competono alla scuola. Da qui nascono, tra l’altro il portale “La scuola in chiaro” e l’anagrafe online della professionalità docente (entrambi nel sito del Miur).


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Nel mese di dicembre 2011 è avvenuto, poi, un importante passaggio che spiega le ultime uscite del ministro, e cioè la delega per l’innovazione tecnologica conferita al titolare di Viale Trastevere, che copre un’ampia gamma di competenze. Oltre all’innovazione tecnologica, la delega al ministro Profumo concerne lo sviluppo della società dell’informazione e delle connesse innovazioni per le amministrazioni pubbliche, i cittadini e le imprese, con particolare riferimento alle strutture, tecnologie e servizi in rete; il potenziamento dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; la diffusione  della cultura informatica e digitale. 


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Si può dire che tutta la digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in ordine alla riduzione degli sprechi e all’aumento della produttività (due indici che tradizionalmente vedono il nostro apparato burocratico soffrire di carenze e lentezze ataviche), passerà, vuoi per impulso diretto, vuoi per compiti di coordinamento, dal ministero della Istruzione, Università e Ricerca. 

Il nuovo Atto di indirizzo, quello formalizzato il 3 aprile e reso pubblico il 10, è appunto espressione di una curvatura dell’interesse del ministro per l’innovazione tecnologica, argomento del quale sono costellati tutti i suoi interventi pubblici. 


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Nel nuovo Atto si premette, infatti, con una enfasi inconsueta, che “l’istruzione, la formazione, la ricerca e l’innovazione tecnologica sono essenziali per l’educazione dei giovani ed il loro futuro e per lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese”. Il documento prosegue affermando che è di fondamentale importanza nel Paese “promuovere lo sviluppo di un’agenda digitale secondo quanto previsto dalla Digital Agenda for Europe, strettamente collegata agli obiettivi della Strategia Europa 2020”. 

Qui si apre un altro importante capitolo, riguardante l’incremento delle tecnologie d’informazione e comunicazione (Tic) in chiave europea, sul quale vale la pena spendere due parole. Nei documenti europei, lo slogan “internet per tutti” è collegato alla crescita dell’occupazione (anche nei settori tecnologici). Ma, si legge sempre nei rapporti dell’Agenda digitale europea, l’Ue non investe abbastanza in Tic. L’investimento europeo attuale è meno di metà di quello degli Usa. Da qui la necessità del miglioramento di infrastrutture di prima classe e di finanziamenti adeguati per attirare in Europa i migliori ricercatori. 


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Ecco allora, la nascita di programmi di “investimento in istruzione (incoraggiare le persone ad apprendere, studiare ed aggiornare le loro competenze), in ricerca/innovazione (creazione di nuovi prodotti/servizi in grado di stimolare la crescita e l’occupazione per affrontare le sfide della società) e nella società digitale (uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione)” (da Europa 2020).

Per la “crescita intelligente” l’Europa intende mettere a disposizione livelli di investimento (pubblico più privato) pari al 3% del Pil, che si connette, tuttavia alla difficoltà del nostro Paese di accedere ai fondi europei. Ne riferì lo stesso ministro Profumo nel corso dell’audizione alla VII Commissione del Senato l’11 gennaio scorso, per la quale si avvalse dei dati statistici fornitigli dalla sua Direzione generale per l’internazionalizzazione della Ricerca. Il ministro osservò che sul VII Programma Quadro 2007/2013, che ha impegnato circa 50 miliardi di euro complessivi e che riguarda anche la trasformazione tecnologica, il contributo dell’Italia è stato pari circa al 15 per cento, ma lo sfruttamento non ha superato l’8,5 per cento circa. 


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Da questo punto di vista, il nuovo Atto di indirizzo, cui ora torniamo, si allinea perfettamente alla prospettiva europea, in quanto orienta l’azione del dicastero presieduto dall’ex presidente del Cnr all’assolvimento di competenze verso la stessa società civile, come la realizzazione di infrastrutture nazionali in materia di e-government e servizi online oppure di politiche di trasparenza dei dati pubblici (vedi “Scuola in chiaro” di cui s’è già detto) o, ancora, di alfabetizzazione informatica. Sullo sfondo, o meglio, all’orizzonte, come indica lo stesso programma, c’è Horizon 2020, il progetto europeo che raggruppa tutti i finanziamenti dell’Ue per la ricerca e l’innovazione in un unico quadro di riferimento e che destina oltre 74 miliardi di euro (quasi il doppio della finanziaria Monti) per una serie di obiettivi, tra i quali la “società inclusiva, innovativa e sicura”. 


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Che la scuola debba diventare un ganglio della futura Smart City, insieme all’università, pare che per il ministro non vi siano dubbi. Per venire all’oggi, può essere utile leggere in questa luce la direttiva inviata recentemente alla scuole sui libri di testo: dall’anno scolastico prossimo scompariranno i manuali esclusivamente cartacei, a favore di strumenti digitali o scaricabili da internet. 

Ci permettiamo di consigliare anche l’attivazione di una profonda riflessione sul cambiamento in atto nel paradigma conoscitivo cui la digitalizzazione obbliga. Inutile paventare pericoli, visto che la tecnologia collegata all’informazione ormai si impara dai banchi dell’asilo. E tuttavia è d’obbligo chiedersi se non si stia giocando una grossa partita che attraversa non solo la nostra economia, ma soprattutto la nostra vita. La cultura non è neutra, nemmeno quella digitale e la scuola non potrà mai diventare una web community in cui si apprende con un clic. La scuola è anzitutto trasmissione di modelli che si apprendono per osmosi, da persona a persona. Se non c’è il soggetto, scompare anche il mezzo, si chiami “Lim” o “e-book”. Non vorremmo davvero che nell’impetuosità di un nuovo illuminismo ce ne dimenticassimo. 

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