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Home » Educazione » SCUOLA/ Tfa e non solo: una “nota”, e il Profumo-pensiero cambia la scuola

  • Educazione

SCUOLA/ Tfa e non solo: una “nota”, e il Profumo-pensiero cambia la scuola

Max Ferrario
Pubblicato 9 Maggio 2012
scuola_docenti_precariR400

O docenti o morte? (InfoPhoto)

Il 'sasso nello stagno' scagliato dal Ministro Profumo dal Corriere della Sera sul Tfa continua ad agitare le acque. Ieri il miur ha diffuso una nota in merito. Il commento di MAX FERRARIO

Retromarcia. Con una “Nota a margine sul Tfa” pubblicata ieri, il Miur ha fornito nuovi argomenti alle dichiarazioni che il ministro Profumo ha rilasciato domenica in un’intervista al Corriere della Sera. Sono molte le novità contenute nella Nota del Miur. Andiamo con ordine. Da domenica fino a ieri, i docenti non abilitati ma con 36 mesi di servizio nella scuola sono stati una categoria a parte, cui è stato garantito dal ministro Profumo la possibilità di saltare il test d’ammissione al Tirocinio formativo attivo. In barba alla normativa vigente. Facevano testo, infatti, le dichiarazioni del ministro al Corriere, domenica 6 maggio. «I docenti con almeno tre anni di servizio verranno ammessi al Tfa senza dover sostenere alcuna prova preselettiva». Come, senza dover sostenere alcuna prova? E il regolamento Gelmini?


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Ora la Nota precisa che «il primo corso di Tfa … sarà attivato con la preselezione nazionale nelle date già fissate», «indipendentemente dal diverso percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il possesso della prescritta abilitazione». Questi prof, infatti, saranno abilitati con modalità a parte, che il ministero deve ancora predisporre. La Nota non potrebbe essere più chiara. «La procedura  per i docenti con 36 mesi di servizio sarà costituita da un percorso formativo e da un esame da sostenere e superare per conseguire l’abilitazione. Tale procedura fa eccezione alla logica programmatoria cui è improntato il Tfa disciplinato dal D.M. n. 249 ma cerca di dare risposta all’esigenza di regolarizzare la situazione di migliaia di persone che hanno permesso negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati».


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Dunque il comunicato fornisce finalmente la giusta esegesi delle parole del ministro. Viene da pensare che già tutto stesse bollendo in pentola, che quando il ministro parlava col Corriere, gli uffici fossero già al lavoro, pancia a terra, per intervenire su tutti i gangli del sistema. Come si spiegherebbe, infatti, che la Nota dà finalmente una risposta ai principali punti interrogativi rimasti aperti in questi mesi? Non solo si dà ai docenti non abilitati con esperienza la garanzia di un percorso abilitante ad hoc, ma si dice come e quando saranno banditi i prossimi concorsi, e pure che il sospirato reclutamento del personale docente abilitato dal nuovo Tfa è in fase di studio e «introdurrà modalità innovative».


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Bene, benissimo. Intanto, il problema dei non abilitati che da anni insegnano, sia nella scuola statale che in quella paritaria, è un problema reale, lo è da tanto tempo e da altrettanto tempo è ben noto sia al Miur che ai sindacati. Si potrebbe perfino dire che configura chiaramente una perversa forma di sfruttamento da parte dello Stato, ed è vergognoso che non si sia mai voluto affrontarlo prima. Ma occorreva farlo mettendo sabbia negli ingranaggi del Tfa? Per due giorni ci sono stati motivi di dubitare che una politica fatta pro tempore dai tecnici potesse realmente forzare la mano dell’Aula e concludere l’iter di un nuovo Dl entro il 4 giugno.


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Tutti più tranquilli, dunque, anche se forse conviene dormire con un occhio aperto. Non pare, infatti, che i prof non abilitati ma con 36 mesi di servizio siano davanti ad una scelta facile. Conviene tentare l’accesso al Tfa di luglio, oppure confidare in un «percorso formativo» per il quale il Miur usa tempi verbali declinati al futuro? Tanto più che, dice la Nota, si deve «procedere ancora alla  stesura del provvedimento amministrativo di istituzione dei suddetti percorsi e di individuazione degli aventi titolo, oltre all’acquisizione preventiva delle prescritte autorizzazioni e consensi». Non vorremmo essere nei loro panni, anche se essere prudenti, alla luce di come funziona la scuola italiana, non guasta.


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Infine, c’è un ultimo dato su cui riflettere. Visto che secondo il ministro «sono persone che nella realtà il tirocinio l’hanno già fatto», forse si sarebbe potuto dare ai «prof  36 mesi» la possibilità di sostenere direttamente l’esame finale di abilitazione, senza caricarli anche dei costi del Tfa; oppure bandire un concorso riservato, in considerazione del fatto che la maggioranza occupa da tempo le stesse cattedre con contratti annuali sempre reiterati, magari sullo stesso posto. In ogni caso, ora queste sono solo ipotesi che si possono definire – appunto – di scuola. La realtà è che, stando al pensiero del ministro, i percorsi abilitanti non saranno unici, ma doppi: quelli per i candidati che saranno ammessi al Tfa transitorio, e quelli destinati ai docenti con 36 mesi di servizio. Se questi ultimi vogliono l’abilitazione “riservata”, potranno risparmiare – oggi – i 150 euro di iscrizione e i 3mila per il TFA (che avrebbero dovuto comunque sborsare se fossero stati ammessi senza fare le selezioni), ma sborseranno – domani – una cifra non molto diversa per il corso di formazione che dovranno fare quando sarà il loro turno. E i corsi vien da pensare che a farli saranno le università, esattamente come oggi. Un bel «regalo» agli ex-colleghi (rettori)? Troppa dietrologia è sbagliata, ma in modiche quantità potrebbe avere qualche fondamento. 

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