Il tema in città è di quelli “caldi”. La sala da 500 posti è gremita, certamente per l’importanza della posta in gioco, forse anche per la diversa estrazione dei due relatori: il sindaco di Bologna Virginio Merola (Partito democratico) ed il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini. Entrambi invitati dalla Compagnia delle Opere a discutere un tema che a Bologna da alcune settimane ricorre quotidianamente su giornali e tv locali, ma sul quale esiste tuttavia molta confusione: il referendum consultivo sui fondi comunali destinati alle scuole paritarie dell’infanzia convenzionate.
Perché ciascuno possa farsi una idea, credo sia indispensabile conoscere i fatti ed i numeri.
Partiamo prima di tutto dal quesito cui i cittadini bolognesi saranno chiamati a rispondere il 26 Maggio. Verrà chiesto di suggerire come utilizzare le risorse finanziare comunali attualmente destinate alle scuole paritarie dell’infanzia a Bologna, allo scopo di garantire al meglio il diritto all’istruzione. Due opzioni a disposizione: dirottarli verso le scuole comunali oppure lasciarne l’attuale destinazione verso le paritarie.
Ora i fatti ed i numeri. A Bologna da anni il sistema pubblico delle scuole dell’infanzia è costituito da tre “gambe” che si integrano positivamente per rispondere ai bisogni delle famiglie. Vediamo i numeri. La scuola statale (1) accoglie 1.459 bambini, il 18% del totale; costa alle casse comunali 1,1 milioni di euro, per una spesa a bambino di 760 euro. La scuola paritaria comunale (2) accoglie 5.137 bambini, il 61% del totale; per essa il Comune spende 35,5 milioni di euro, 6.900 euro/bambino; infine viene (3) la scuola paritaria convenzionata. Essa accoglie 1.736 bambini, costa al Comune 1,1 milioni per un costo/bambino di 640 euro. (Fonte: contabilità analitica comune di Bologna anno 2011).
Guardando i numeri, possiamo capire prima di tutto due cose:
Le scuole paritarie convenzionate accolgono il 21% dei bambini bolognesi e ricevono contributi pari al 2,9% delle risorse che il Comune destina alla fascia 3-6 anni
Con le risorse oggi destinate alle scuole paritarie convenzionate, il Comune potrebbe assicurare non più di 160 nuovi posti nelle scuole dell’infanzia comunali (le paritarie convenzionate ne assicurano 1.736).
Ecco perché il sindaco di Bologna è così impegnato ad informare i propri concittadini e a spiegare la sua contrarietà alla eliminazione dei contributi comunali alla paritarie. Certamente anche per una migliore sostenibilità economica, aspetto importante per chi amministrando la cosa pubblica deve garantire servizi importanti come l’educazione. Ma soprattutto per un altro motivo: il sindaco ha infatti voluto ricordare che il suo impegno di queste settimane non è legato alla scarsità delle risorse a disposizione dei comuni (i fondi per le paritarie sono erogati a Bologna da molti anni), così come non è a favore o contro un certo tipo di scuola, approccio piuttosto diffuso in un certo modo ideologico di porre la questione.
Piuttosto è per difendere una “cosa che è giusta”. E perché è giusto erogare risorse pubbliche per le scuole paritarie? Poiché il contributo ad un soggetto chi si organizza per fornire un servizio pubblico è indispensabile per la costruzione di una società che funzioni meglio. Certamente all’interno di precise regole di cui l’amministrazione rimane emanatrice e controllore: infatti le scuole che ricevono il contributo sono convenzionate con il comune. Non si tratta pertanto appena di “tollerare” i soggetti che nascono grazie a cittadini che si organizzano per erogare servizi pubblici, ma di “sostenere” tali soggetti (una bella definizione di sussidiarietà).
Sempre per questo motivo, ha fatto notare il sindaco, quando una cosa è giusta può essere condivisa e promossa anche da persone che appartengono a parti politiche opposte, senza che questo debba essere considerato un “inciucio”.
“Parità e autonomia: ritorniamo a Berlinguer” è stata la frase con cui il presidente Vittadini ha aperto il suo intervento, citando la legge che nel 2000 ha riconosciuto giuridicamente la parità tra scuole statali e non statali. Il presidente ha presentato alcuni dati relativi alle performance della scuola italiana, in confronto agli altri paesi europei. Performance non proprio brillanti (in termini di abbandono scolastico, ad esempio, l’Italia presenta dati superiori alla media europea, mentre le prove Invalsi evidenziano risultati inferiori alla media) ma soprattutto molto disomogenee all’interno del paese e delle classi sociali. A fronte di una spesa assolutamente rilevante: per quanto riguarda i costi relativi alla scuola dalle elementari alla maturità, l’Italia è tra i paesi in Europa con la spesa pro studente più alta (superiore alla Germania e alla Francia, per esempio). Il problema non è quindi spendere di più − come sottointende il quesito referendario − ma cercare di spenderli meglio cercando di migliorare il servizio scolastico. Tre le condizioni citate da Vittadini: la pluralità dell’offerta, l’autonomia nella scuola e della scuola, infine la possibilità di scelta di chi utilizza il servizio (si pensi ad esempio al sistema dei vaucher).
Questo approccio vale solo per la scuola? Anche su questo punto il sindaco Merola e Vittadini si sono trovati d’accordo: una concezione sussidiaria della gestione della cosa pubblica è uno strumento indispensabile per la costruzione del bene comune. È il percorso che in Europa e nel mondo molti paesi e società hanno intrapreso da tempo. E che io, da cittadino bolognese, spero continui anche nella mia città.
Per informazioni e approfondimenti sul referendum: www.referendumbologna.it.