Caro direttore,
una piccola nota non specialistica alle otto deleghe previste dalla legge 107 della Buona Scuola e ora approvate. Ricordo per comodità gli ambiti dell’intervento del Governo: il sistema di formazione iniziale e di accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di I e II grado; la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità; la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale; l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni; il diritto allo studio; la promozione e la diffusione della cultura umanistica; il riordino della normativa in materia di scuole italiane all’estero; l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di Stato.
Dovunque ci si occupi di scuola li si sta commentando, ma c’è un aspetto di fondo che rischia di passare inosservato. Ciò che è evidente da questi provvedimenti è che manca un impianto educativo: essi sono solo i rattoppi a quello che ha operato il governo Renzi e che di fatto si è risolto in un aumento del personale scolastico senza un progetto capace di implicarlo o di “includerlo”, come si usa dire oggi.
Peccato, perché il ministro dell’Istruzione con questi provvedimenti avrebbe potuto dare una svolta quanto mai necessaria alla legge sulla Buona Scuola. Invece ha voluto mantenerla dentro una logica di conservazione dell’esistente. Non è così che si fa il bene degli studenti e delle studentesse, non è mantenendo e rafforzando lo status quo. Oggi dovrebbe essere diverso il modo di operare di un ministro, dovrebbe individuare i punti di novità e rafforzarli, invece non ha fatto altro che rattoppare in modo disorganico il vestito dell’istruzione con il risultato di aumentare i danni.
Tre sono le osservazioni che mi sento di fare a questi provvedimenti e li traggo dall’esperienza quotidiana.
La prima riguarda il sistema di formazione iniziale e di accesso all’insegnamento. Se il ministro venisse nelle scuole capirebbe che vi è un unico modo per reclutare chi vuole insegnare, e non è quello di mettere in pratica un meccanismo di prove e di valutazioni. Oggi impara ad insegnare chi si mette a seguire un maestro. Si pongano le condizioni per favorire questo metodo. Al posto di pensare e ripensare meccanismi, favoriamo che insegnanti con esperienza divengano maestri dei giovani. In questo modo inoltre si potrebbe creare una continuità tra una generazione e l’altra.
La seconda osservazione riguarda l’alternanza scuola-lavoro. Il ministro non ha capito il valore che ha oggi nella scuola, come del resto non l’ha capito gran parte del mondo della scuola. Con l’alternanza scuola-lavoro non si sono inserite delle attività che viaggiano in parallelo alla cultura umanistica della scuola; esse sono l’opportunità di introdurre una cultura nuova della scuola stessa. Con l’alternanza si può arrivare ad un’educazione integrale dell’uomo, dove le attività dell’alternanza contribuiscono alla formazione della persona. Chi concepisce l’alternanza come un’aggiunta di attività perde una significativa occasione educativa. In gioco nell’alternanza vi è l’educazione, il suo compiersi.
La terza osservazione riguarda i sistemi di valutazione: ancora una volta ci si ferma a cambiare la procedura, senza capire che sarebbe ora di affrontare la questione della valutazione in quanto tale. Oggi insegnanti, studenti e genitori, ognuno dal suo punto di vista, sono in difficoltà a capire che cosa significhi valutare e questo è il problema serio da affrontare subito. Invece si cerca la formula perfetta dell’esame. Una formula che non esiste e nemmeno l’Invalsi ci dà garanzie a riguardo. Sarebbe ora di creare le condizioni perché valutare non sia fissare un esito e giudicarlo, ma sia finalmente arricchire educazione e apprendimento. Bisogna per questo operare soprattutto sugli insegnanti, che concepiscono la valutazione ancora in senso sanzionatorio, mentre valutare significa valorizzare i punti di forza in una preparazione e renderli la leva per affrontare quelli di debolezza. E’ tempo di andare verso una concezione dinamica della valutazione, mentre i provvedimenti presi ne rafforzano l’impianto rigido e quindi di carattere repressivo.
Dalla Buona Scuola ci saremmo aspettati altro.